Perché le nazioni falliscono
Daron Acemoglu, James A. Robinson, Perché le nazioni falliscono. Alle origini di potenza, prosperità e povertà, Il Saggiatore, Milano 2013, pp. 527 + 26 foto, euro 22,00
Daron Acemoglu è professore di Economia al MIT di Boston. NEl 2005 ha ricevuto la John Bates Clark Medal, il più importante riconoscimento riservato agli economisti under 40.
James A. Robinson, scienziato politico a Harvard, ha insegnatoi per molti anni alla Universidad de los Andes di Bogotà, ed è uno dei più quotati studiosi delle istituzioni africane e latinoamericane.
Il libro è un best seller dei nostri tempi, perché ci fa capire come le nazioni possono prosperare o fallire. Prima di tutto è un'analisi storica delle istituzioni politiche ed economiche di molte nazioni in tutto il mondo, non solo Occidentale e va alla radice distinguendo le istituzioni poltiche ed economiche in due tipi: inclusive od estrattive.
Quelle estrattive difendono i privilegi di una elite molto ristretta e impediscono l'accesso alle risorse di una nazione alla maggior parte della popolazione.
Quelle inclusive sono diffusive del potere, proteggono i diritti di proprietà, permettono la distruzione creatrice capitalistica e quindi l'innovazione e il possibile ricambio delle elites politiche ed eocnomiche.
A modello delle seconde gli autori prendono l'Inghilterra e il suo percorso dal 1688 ad oggi, Gli Statti Uniti d'America, e con ritardi vari: l'Australia, l'Europa Occidentale e pochi altri stati.
La teoria proposta è interessante perché tiene conto che alla base dei diversi percorsi delle nazioni ci sono contingenze storiche che possono essere sfruttate o in un senso o in un altro, che nulla è determinato dalla storia, che l'inerzia delle istituzioni e delle classi dominanti è potente e che lo sviluppo storiche è un mix di scelte e di contingenze casuali. In questo senso gli autori sono consapevoli che è difficile che la teroia possa predire come sviluppare uno stato in un senso estrettivo o inclusivo, tuttavia ci sono degli indicatori che mostrano delle possibili vie di sviluppo inclusivo, anche se non di facile attualizzazione (vedi cap. 15)
Gli autori non si rendono conto, nel senso che non lo teorizzanno coscientemente, che c'è anche un altro fattore: quello di persone che scelgono deliberatamente di promuovere istituzioni inclusive od estrattive. Gli esempi nel libro sono innumerevoli, ma gli autori si limitano ad una analisi delle istituzioni. Come però ci ha insegnato Ricoeur: «Chiamiamo "prospettiva etica" la prospettiva della "vita buona" con e per l'altro all'interno di istituzioni giuste» (Sé come un altro, JAca Book, Milano 1993, 266), occorre quindi considerare anche il singolo individuo che sceglie la vita buona, e non solo che le istituzioni siano giuste, che i nostri autori qualificano come inclusive.
Qui potete scaricare in files PDF l'indice e il capitolo 15, quello conclusivo che riassume e riapre il ragionamento dei due autori.