Politica

 

Johan Galtung, Affrontare il conflitto. Trascendere e trasformare. Pisa University Press, Pisa 2014, pp232, euro 12,00

Allargare la mente per essere creativi

 

Galtung è un guru mondiale della risoluzione dei conflitti, della nonviolenza e della costruzione della pace. Nato nel 1930 a Oslo, dopo gli studi in sociologia e matematica si è dedicato alla ricerca sui mezzi pacifici per ottenere la pace ed è diventato un formatore a livello mondiale e un consulente/mediatore per conto dell’ONU. Ha fondato nel 1959 l’International Peace Research Institut (IPRI) e da qualche anno il TRASCEND: A Network for Peace and Development (www.trascend.com).

In Italia i suoi libri sono poco tradotti e, soprattutto, i suoi metodi per la risoluzione dei conflitti poco diffusi, se non negli ambienti della nonviolenza e negli studi accademici.

Il libro è dedicato a studenti e docenti dei corsi di Scienze per la Pace, agli specialisti della mediazione, ai diplomatici e agli uomini di governo, oltre che alle persone che vogliano imparare l’arte di trascendere i conflitti.

Potrebbe essere molto utile anche nella formazione permanente dei volontari in servizio civile.

In un paese come l’Italia, abituati più al dibattito (combattimento con armi verbali, non fisiche) che al dialogo (le parti lavorano assieme per trovare una soluzione al problema), come si vede nei vari talk-show televisivi e radiofonici, sarebbe utile diffondere le idee e il metodo di Galtung per accrescere la nostra cultura e cercare soluzioni creative ai vari conflitti che ci attraversano.

La tesi di fondo è che per affrontare un conflitto occorre avere una visione sufficientemente chiara di quali attori vi sono coinvolti, quali sono gli effettivi e profondi motivi del conflitto, provare a instaurare un dialogo che cerchi soluzioni creative e praticabili.

Galtung propone un diagramma che aiuta a comprendere le 5 possibili soluzioni in gioco in un conflitto con un’alternativa secca tra due soluzioni apparentemente non conciliabili.

Le prime due soluzioni hanno come esito la vittoria di una parte sull’altra e il metodo usato è quello della lotta e si caratterizzano per l’alternativa aut/aut: o l’una o l’altra. Gli esiti sono quelli di ulteriore violenza e incomprensione.

La terza è la rinuncia a una soluzione che porta al rinvio/differimento della soluzione e si presenta come né/né e la violenza può continuare a covare o a manifestarsi episodicamente.

La quarta soluzione è quella del compromesso dopo una negoziazione, caratterizzata dalla posizione metà/metà: tutti sono un po’ insoddisfatti, ma la violenza si può fermare, fino a quando qualcuno si ritenga troppo insoddisfatto del compromesso e riapra il conflitto.

La quinta, quella più interessante e duratura (se raggiunta), è quella della trascendenza del conflitto che si attua nel dialogo ed è caratterizzata dalla posizione sia/sia. Il conflitto viene risolto con soddisfazione da parte di tutti perché tutti hanno partecipato alla risoluzione del conflitto con un atto creativo di apertura degli orizzonti mentali – quelli che più impediscono la possibilità di reali alternative all’uscita del conflitto – e di reciproco riconoscimento della parti in causa come persone degne portatori di bisogni fondamentali che devono essere garantiti da tutti.

Tutto lo sforzo di un mediatore di conflitti è quello di aiutare a far sviluppare alternative possibili alle soluzioni 1 e 2, per giungere, se possibile fino alla 5. Galtung chiama le soluzioni 3 – 4 – 5 la diagonale della pace.

Il libro affronta i conflitti a vari livelli: micro (conflitti dentro e tra le persone: famiglia, vicinato, ecc.) meso (conflitti all’interno della società: quale società si vuole realizzare rispetto a scuola, medicina, sicurezza, politica, economia, ecc.), macro (conflitti tra stati e nazioni) e mega (conflitti tra regioni e civiltà).

Nei conflitti mega mostra come il rapporto tra natura, bisogni fondamentali della persona, stato e capitale dovrebbe essere il più possibile equilibrato e dinamico e non sbilanciato a favore di qualcuno di questi. In particolare i bisogni fondamentali della persona dovrebbero essere la guida e l’obiettivo alla risoluzione dei conflitti.

C’è molta assonanza con l’enciclica di papa Francesco Laudato si’ che propone il dialogo a tutti i livelli per affrontare i problemi della convivenza civile, coinvolgendo prima di tutto coloro che pagano le conseguenze maggiori delle ingiustizie derivanti dalle varie crisi: i poveri.

E’ un invito non solo alla lettura ma anche a fare entrare nella formazione umana permanente di ciascuno la capacità di affrontare e cercare soluzioni per i conflitti che inevitabilmente la vita ci propone: i conflitti esistono perché siamo diversi e questa diversità va salvaguardata. Il problema è come affrontarli. Ringraziamo Galtung che ci propone un metodo, non infallibile, ma che aiuta molto alla loro risoluzione. Allarghiamo la nostra visione a soluzioni praticabili così da aiutare tutta l’umanità a poter vivere meglio.

 

Invito alla lettura

Il problema risiede piuttosto nella relazione tra tutti questi obiettivi e qualcosa che chiamiamo genericamente risorse. Il denaro è una […]. Il tempo è un’altra […] L’energia è una terza […] La capacità di autogoverno è una quarta. E qui ci sono alcune piccole parole alle quali bisogna rispondere: cosa, perché, come, dove, quando con chi e, più spesso contro chi, si innesca il conflitto […] Una vita ricca richiede parecchio da noi, e una leggera, delicata capacità amministrativa per disciplinare il lungo elenco degli obiettivi. (p. 65)

La soluzione risiede nel dialogo come maniera di penetrare più a fondo nel conflitto. Il dialogo riguarda gli individui, non le categorie. De-umanizziamo il TU personale, vedendo quell’individuo come rappresentante di una categoria, di un Esso impersonale. E ciò cambia la relazione Io-Tu in un dialogo ispirato alla relazione Io-Esso? La risposta sta nell’avere molti dialoghi Io-Tu, per essere aperti sia a ciò che hanno in comune gli individui, ma anche alle differenze individuali. (p. 69)

Chiamo Stati i paesi definiti geograficamente, Nazioni i gruppi definiti culturalmente – per storia, lingua e religione – che provano attaccamento per una ragione geografica. Se più di una nazione prova attaccamento per lo stesso pezzo di terra, allora ci troviamo dinanzi a un conflitto per chi debba governare e possiamo aspettarci quanto meno violenza verbale. Utilizzando queste definizioni, possiamo dire che ci sono circa 200 stati e 2.000 nazioni, ma appena 20 «stati-nazione», cioè stati che siano popolati estensivamente da un’unica nazione. In altre parole, ci sono in linea di principio 1980 nazioni in conflitto sparse in 180 stati. (p. 101)

Le tre caratteristiche importanti descritte in questo libro, l’empatia, la creatività nel trovare soluzioni e la nonviolenza p er attuarle, sono state uccise […] Per questo i conflitti devono essere trasformati in modo che le parti possano vivere creativamente e pacificamente, e la violenza possa essere evitata. Le parti devono rompere la polarizzazione dentro di sé e tra di loro, dal momento che questa rende l’empatia, il dialogo e la creatività impossibili. […] Dove la violenza ha avuto luogo è necessaria la riconciliazione per ricominciare dall’inizio. Un compito difficile, ma ciò non costituisce una scusa per soffrire, a causa della mancanza d’abilità o di volontà nel trovare una reale soluzione. (p. 108)

Se una chiave importante per la il conflitto è la creatività, quale sarà, quindi, la chiave adatta per la pace? Non facciamo chiacchiere, per favore, solo una parola! La parola è uguaglianza. […] La pace è basata sulla reciprocità, che a sua volta si basa sull’uguaglianza, diritti uguali e uguale dignità. […] Riprendiamo dall’elementare teoria della pace una definizione più precisa sulla reciprocità: qualunque cosa tu voglia per te stesso, dovresti anche volerlo offrire all’altra parte, se essa lo desidera. (pp. 136-138)

Gli studi sul conflitto ci rendono capaci di avvicinare un conflitto con empatia, nonviolenza e creatività. Gli studi per la pace ci mettono in condizione di prevenire la violenza attraverso l’uguaglianza e l’equità. Gli studi sulla riconciliazione ci permettono di prevenire la violenza futura attraverso la cura e la chiusura della violenza del passato. (p. 147)

Garantire i bisogni fondamentali. In altre parole la sopravvivenza, assieme al benessere, alla libertà e all’identità. Noi umani abbiamo vissuto per un tempo piuttosto lungo senza Stato e Capitale, ma ami senza la Natura. La Natura ha funzionato piuttosto bene in assenza di tutti e tre. In altre parole, vengono prima i bisogni della Natura, poi quelli degli esseri umani e infine quelli di Stato e Capitale. […] Il problema non è la relazione Nord-Sud, ma ala relazione tra Stato-Capitale e Natura-esseri umani. Stato e Capitale sono così forti nel Nord che possono prendere risorse da Natura ed esseri umani nel Sud […] Trascendenza positiva sarebbe un contratto sociale conStato e Capitale che metta la primo posto la soddisfazione dei cittadini e i bisogni fondamentali dei consumatori. Gli esseri umani e i propri bisogni sarebbero la misura di tutte le cose e non astrazioni come il potere dello Stato e la salute del Capitale. (pp. 156-157)

La nonviolenza di Gandhi: opporsi al male, proteggere le persone (p. 176)

Un «trattato di pace» che sopprime bisogni fondamentali quali identità, libertà e benessere è in effetti un trattato contro la pace. (p. 195)

Le emozioni sono le forze motrici; l’intellettualità è lo strumento. Questa contraddizione apparente è trascesa nel lavoro sul conflitto attraverso un appassionato radicamento a valori quali empatia per conoscere a fondo le parti, creatività per essere di un qualche aiuto effettivi, nonviolenza che sostiene, e mai trascura, i bisogni fondamentali. Il lavoro sul conflitto deve essere basato su questi valori che vengono messi a turno sul tavolo. Il mediatore senza passione non farà un buon lavoro. La motivazione è troppo debole. La mediazione non è un lavoro per persone tiepide. (p. 199)

La società moderna è povera di istituzioni che rendano le parti capaci di dialogare direttamente l’una con l’altra, si preferiscono gli approcci indiretti. (p. 221)

TRANSCEND è liberale nel senso che incoraggia i piccoli passi, è marxista nel senso che costruisce la trascendenza e la dialettica della contraddizione; è buddista nel senso che riconosce i bisogni umani come guida fondamentale. (p. 222)

Non avanziamo la tesi che tutto funzionerà, finché rimanga all’interno della diagonale della pace. La tesi è che se qualcosa funzione, allora è lì che sarà trovata la soluzione (p. 223)

 

Tim Marshall, Le 10 mappe che spiegano il mondo, Garzanti, Milano 2017, pp. 313, euro 19,00 (originale inglese del 2015)

La forza della geografia e la libertà dell'uomo

L'autore è stato per 30 ani corrispondente estero di BBC e Sky News, inviato di guerra in Croazia, Bosnia, Macedonia, Kosovo, Afghanistan, Iraq, Livano, Siria, Israele. Ha pubblicato articoli su Times, Sunday Times, Guardian, Indipendent. Ha fondato e dirige il sito di analisi politica internazionale http://www.thewhatandthewhy.com/ (il fatto e il perché)

Marshall non è un accademico, ma uno che ha vissuto sul campo alcuni dei più grossi conflitti degli ultimi decenni e si è fatto un'idea di che cosa li determini e li possa aiutare a risolvere. Si è convinto che «dopotutto, le guerre vengono scatenate dalla paura degli altri, oltre che dall'avidità [...] La storia ci ha dimostrato che l'ingordigia è un gioco a somma zero» (p. 297).

Questo libro ci mostra con sufficiente chiarezza che i fattori geografici di un paese e dei suoi confini: pianure coltivabili, fiumi navigali, porti naturali, montagne, clima, risorse naturali, grandezza, influiscono in maniera determinante sul sorgere degli stati e sulla loro possibilità di sopravvivere a se stessi e ai propri vicini.

Il libro considera 10 paesi o macro regioni: Russia, Cina, Stati Uniti, Europa Occidentale, Africa, Medi Oriente, India e Pakistan, Corea e Giappone, America Latina, Artide.

Per ciascuna mappa traccia un quadro sintetico della geografia fisica, della storia dei conflitti e delle guerre passate e di quelle presenti, mostrando come la geografia abbia permesso o ostacolato invasioni, predazione di risorse, creato zone di influenza, possibilità di risoluzione dei conflitti aperti in un prossimo o lontano futuro.

Un primo punto strategico che guida l'analisi di Marshall è l'accesso al mare e la possibilità di difendere le rotte marine necessarie, e i relativi costi, per l'importazione e l'esportazione di risorse naturali e beni prodotti, in quanto è il mare il mezzo di trasporto a lunga gittata meno costoso, e a volte necessario da un continente a un altro.

Un secondo punto strategico sono le pianure come luoghi possibili di accesso da parte di eserciti invasori.

Un terzo punto sono le montagne, in particolare quelle più alte, da cui scendono le acque potabili per dissetare i popoli e i fiumi navigabili per collegare facilmente l'interno dei paesi.

Marshall, con le proprie analisi, a volte sorprende il lettore sufficientemente informato con delle "chicche" che fanno intravvedere risvolti inediti in conflitti che si spera si possano risolvere, ma che difficilmente lo potranno essere, se non sulla crescita di una fiducia reciproca degli attori coinvolti, come quello della Corea, oggi così attuale. Fatto piuttosto difficile quando la volontà di accedere a risorse ritenute necessarie per il bene del proprio paese diventa la priorità di un governo più o meno democratico.

Per chi invece non segue molto la politica internazionale è una utile introduzione per comprendere meglio ciò che sentiamo alla televisione o leggiamo sulla carta stampata più o meno specialistica, al di là della propaganda politica e/o ideologica.

Pur essendo del 2015 l'originale inglese è un quadro sufficientemente aggiornato della situazione mondiale (per esempio manca la Brexit), e il traduttore ha segnalato gli avvenimenti significativi accaduti nel frattempo.

Marshall ha una visione reale dei conflitti, ma spera anche che gli uomini possano collaborare con rinnovata fiducia per un futuro migliore, nonostante la strada da compiere sia ancora lunga:

«Quando puntiamo alle stelle, le difficoltà che ci attendono sono tale che probabilmente dovremmo unirci per superarle, per viaggiare nell'universo non come russi, americani e cinesi, ma come rappresentanti dell'umanità. Allo stato attuale, però, pur essendoci affrancati dalle catene della gravità, siamo ancora prigionieri della nostra mente, limitati dal sospetto nei confronti "dell'altro" e quindi della nostra primordiale competizione per le risorse. C'è ancora tanta strada da percorrere» (p. 302)

 

Invito alla lettura

L'idea della geografia come fattore decisivo nel corso della storia umana si può leggere come una visione pessimistica del mondo, ed è per questo che viene avversata in alcuni circoli intellettuali. Implica che la natura sia più potente dell'uomo, e che possiamo arrivare solo fino a un certo punto nel determinare il nostro destino. Altri fattori, tuttavia, hanno concorso chiaramente a influenzare gli eventi. Chiunque può rendersi conto che la tecnologia sta piegando le regole ferree della geografia, trovando la maniera di passare sopra, sotto o attraverso alcune barriere (p. 15)

Ovviamente la geografia non detta il corso di tutti gli eventi: grandi idee e grandi leader fanno parte delle dinamiche della storia. Ma devono operare tutti quanti entro i confini imposti dalla geografia [...] Oggi realtà geografiche come il cambiamento climatico presentano nuove opportunità e nuove sfide (p. 300)

Quali sono queste regole (della geografia)? Il punto di partenza è il paese in cui il potere è sempre stato difficile da difendere, tanto che per secoli i suoi leader hanno cercato di compensare tale limite con l'espansione estera. E' il paese che non ha montagne a occidente: la Russia (p. 16)

Il dado era tratto. Vladimir Putin non aveva molto da scegliere: doveva annettere la Crimea, dove vivevano molti ucraini di lingua russa, ma soprattutto dove c'era il porto militare di Sebastopoli. Questo imperativo geografico, e più in generale l'allargamento verso est della NATO, è esattamente ciò che aveva in mente Putin quando ha detto, in un discorso sull'annessione: "La Russia era in una posizione da cui non poteva più tornare indietro. Se comprimete al massimo una molla, scatterà con tutta la sua forza. Dovete sempre ricordarlo" (p. 33)

Dal Gran Principato di Moscovia, passando attraverso Pietro il Grande e Stalin per arrivare a Putin, ogni leader russo si è dovuto misurare con gli stessi problemi. Non conta se l'ideologia di chi guida il paese è zarista, comunista o neocapitalista: le acque dei porti continuano a gelare, e la pianura nordeuropea è sempre piatta. Togliete i confini che demarcano gli stati nazionali, e scoprirete che la cartina geografica che aveva sotto gli occhi Ivan il Terribile è la stessa che ha di fronte Vladimir Putin (p. 47)

Nell'autunno del 2006, un gruppo di super portaerei americane guidate dalla Kitty Hawk, lunga più di 300 metri, viaggiava tranquillamente nel Mar Cinese Orientale tra il Giappone meridionale e Taiwan, quando, all'improvviso, un sottomarino cinese è emerso al centro della flotta (p. 53)

Se guardiamo ai confini odierni della Cina, vediamo una grande potenza ormai convinta di essere protetta dalle sue caratteristiche geografiche, che si prestano a una difesa efficace e a un commercio molto attivo (p. 59)

La posizione è tutto. Se aveste vinto la lotteria e voleste acquistare un paese in cui vivere, il primo che vi mostrerebbe l'agente immobiliare sarebbero gli Stati Uniti. Twain si riferiva alla notizia infondata della sua morte [la notizia della mia morte è fortemente esagerata], ma avrebbe potuto benissimo parlare della fine prematura che tanti preconizzano per gli Stati Uniti (p. 83)

Sono trent'anni che va di moda predire il declino imminente o graduale degli USA. E' una predizione sbagliata oggi come lo era in passato. [...] Più di un secolo fa, il cancelliere prussiano Otto von Bismark disse: "Dio ha particolarmente a cuore gli ubriachi, i bambini e gli Stati Uniti d'America". Era una frase ambigua, ma sembra avere tutt'ora una parte di verità (p. 104)

Nel bene o nel male, il mondo moderno nasce dall'Europa. Questo avamposto occidentale della grande massa continentale eurasiatica diede origine all'illuminismo, che portò alla rivoluzione industriale, da cui deriva ciò che vediamo tutti i giorni intorno a noi. Dobbiamo ringraziare – o maledire, a seconda dei punti di vista – la collocazione geografica dell'Europa (p. 109)

Helmut Kohl nel 2012 scrisse un articolo per il quotidiano più diffuso in Germania, il Bild, in cui esprimeva la sua preoccupazione che a causa della crisi finanziaria i nuovi leader potessero abbandonare l'esperimento postbellico della fiducia reciproca tra i paesi europei: "Per coloro che non hanno vissuto questa tragedia e che di fronte alla crisi si chiedono quali benefici possa apportare l'unità d'Europa, la risposta – nonostante una pace senza precedenti che dura da più di sessantacinque anni e nonostante i problemi e le difficoltà che dovremo ancora superare – si riassume in una sola parola: pace" (p. 129)

Le coste africane? Spiagge veramente meravigliose, ma pessimi porti naturali. Fiumi? Fiumi incredibili, ma inadatti a trasportare alcunché, con tutte quelle cascate. Sono solo due dei tanti problemi che aiutano a spiegare perché l'Africa non è tecnologicamente e politicamente di successo come l'Europa occidentale o il Nordamerica (p. 135)

Ciò premesso, si costruiscono ogni anno nuove strade e nuove ferrovie che collegano paesi così incredibilmente diversi. Le enormi distanze degli oceani e dei deserti che separano l'Africa dal resto del mondo sono state superate dai viaggi aerei e il tessuto industriale ha creato porti dove la natura non voleva che ci fossero (p. 157)

[Medio Oriente] In mezzo a cosa? A oriente di dove? Il nome stesso della regione si basa su una visione europea del mondo, ed è stata esattamente una visione europea della regione a darle forma. Gli europei usavano l'inchiostro per tracciare le linee di confine delle mappe: erano linee che in realtà non esistevano e hanno creato alcuni dei confini più artificiali che il mondo abbia mai visto. Oggi si sta tentando di ridisegnarli con il sangue (p. 163)

L'accordo Sykes-Picot sta andando in frantumi; rimetterlo insieme, anche in un'altra forma, sarà un'impresa lunga e sanguinosa (p. 198)

India e Pakistan possono concordare su una cosa: nessuno dei due vuole avere attorno l'altro. E' piuttosto problematico visto che hanno in comune un confine lungo 3000 chilometri. Ambedue i paesi sono carichi di antagonismo e di armi nucleari, perciò il modo in cui gestiscono questa difficile relazione è questione di vita o di morte per decine di milioni di persone (p. 203)

L'India ha una grande marina militare ben equipaggiata che include una portaerei, ma non potrà competere con la marina oceanica che sta mettendo in cantiere la Cina. Perciò l'India si sta associando ad altri paesi per sorvegliare, se non dominare, la marina cinese sulla rotta che attraversa i mari della Cina e lo stretto di Malacca, per uscire nel Golfo del Bengala e costeggiare l'India fino al Mare Arabico in direzione del grande porto che [la Cina] ha costruito a Gwadar, in Pakistan. Quando si parla dell'India si torna sempre al Pakistan, e quando si parla del Pakistan si torna sempre all'India (p. 225)

In che modo si risolve un problema come quello della Corea? Non si può risolvere, si può solo gestire – dopotutto, in giro per il mondo ci sono tanti altri problemi che richiedono un'attenzione immediata. [...] La soluzione è il compromesso, ma la Corea del Sud non lo cerca più di tanto, mentre i leader della Corea del Nord non appaiono minimante interessati. Il futuro non è affatto chiaro; si direbbe che sia sempre oscurato dalle nubi che punteggiano l'orizzonte (p. 231)

Dunque gli americani resteranno sia in Corea che in Giappone. [...] Il Giappone e la Corea del Sud hanno tante cose su cui litigare, ma l'ansia che condividono nei confronti della Cina e della Corea del Nord li costringerà a superare le divergenze. E anche se riusciranno a risolvere un problema come quello della Corea, resterà il problema della Cina. Ciò significa che la VII Flotta degli Stati Uniti resterà nella baia di Tokyo e che i marine americani resteranno a Okinawa, a sorvegliare le vie di accesso al Pacifico e ai mari della Cina. In ogni caso, le acque saranno agitate (p. 249)

I limiti imposti dalla conformazione geografica dell'America Latina hanno pesato fin dall'inizio sulla formazione degli stati nazionali (p. 255)

[Artide] Quando arriveranno gli icemen, arriveranno in forze. Chi possiede unità attrezzate per una missione di questa complessità? Solo i russi (p. 283)