Questo libro è scritto a due mani da una donna e un uomo, lei professoressa di Economia e direttrice del Center for Iternational Economics all'Univertà del Mryland collabora con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, lui professore di Economia a Harvard collabora cojn il Wall Street Journal il Financial Times. Racconta otto secoli di disfatte economiche, elaborando statistiche molto precise su come sono adnate le cose nelle crisi che hanno preceduto la presente, che hanno chiamato la SECONDA GRANDE CONTRAZIONE. E' oramai diventato un classico perché mette a disposizione ciò che non si vuole sapere e toglie le foglie di fico delle grandi banche, soprattutto americane, che hanno socializzatio le perdite e privatizzato i profitti. E' accaduto perché qualcuno pensa che non possiamo fare a meno delle banche, ma questo non è vero. Possiamo fare a meno di queste banche per ritorvarcene altre che facciano meglio gliinteressi sociali oltre che i loro profitti.
Il titolo è molto accattivante perché fa pensare alla proclamata diversità di questa crisi rispetto alle altre, ma la tesi di fondo del libro è esattamente CONTRARIA: questa volta non è diverso dalle altre e, con un poco di buona volontà, lo si sapeva o lo si sarebbe dovuto sapere. E' stato un eccesso di fiducia nelle innovazioni finanziarie che ha perpetrato il solito inganno: i debiti prima o poi qualcuno li deve pagare. Essi stanno in piedi finché c'è FIDUCIA che vengano ripagati, ma quando la fiducia - che è materia molto delicata, in quanto concerne la credibilità e la verità di una parola data e di atteggiamenti annunciati come realizzabili da parte di qualcuno - viene meno, la richiesta di rientrare dai debiti si fa pressante fino all'asfissia del debitore. Questo fa perdere il debito e con esso il capitale, ma il debitore viene invitato in maniera rude a non provarci mai più.
Purtroppo molti stati nazionali hanno subito delle crisi totali o parziali del debito nazionale o delle proprie banche, ma questo non impedisce ad altri - o agli stessi - di riprovarci con noncuranza delle conseguenze. Purtroppo le statistiche dicono che in media una crisi come questa dura circa sette anni. Sono appena tre che la crisi è scoppiata e dunque ci aspettano in media altri 3-4 ANNI prima di pensare di esserne fuori, ma forse non andrà così male, ma potrebbe andare anche peggio, dipende da tutti, prima di tutto dai politici edalle loro decisioni, ma anche da noi cittadini. Per ora in America sta montando una protesta da non prendere troppo sotto gamba (sito ufficiale della protesta http://occupywallst.org/).
Da noi non succede ancora niente, nonostante la rabbia che sento tra la gente che conosco (classe media) stia crescendo di giorno in giorno, ma non trova un luogo di riconoscimento e di coagulo.
Potete trovare qui l'indice (leggi qui) e la prefazione (leggi qui).
Riassummo invece brevemente le considerazioni dei capitoli finali, dopo aver riportato una frase dell'Introduzione:
«Il fattore chiave - più importante di qualsiasi altro - che dà origine alla sindrome del "questa volta è diverso" è probabilmente il mancato riconoscimento della precarietà e della natura incostante della fiducia, specialmente nei casi in cui debbano esser econtiunamente rinnovati debiti a breve termine per importi considerevoli. [...] La teoria economica insegna che è proprio l'intrinseca natura incostante della fiducia, anche perché dipendente dalle aspettative del pubblico in ordine a eventi futuri, che rende così difficile prevedere le tempistiche delle crisi del debito. Alti livelli di indebitamento conducono, in molti modelli economoetrici, a "equilibri multipli" in cui il livello del debito può essere sostenibile o no. Gli economisti non hanno un'idea molto chiara in merito a quali tipi di evento influiscano sulla fiducia e su come valutarne concretamente la vulnerabilità. Dalla storia delle crisi finanziarie emerge però con chiarezza, innumerevoli volte, che quando vi sono le condizioni affinché si verifichi un incidente, alla fine inevitabilmente accade».
Ad ex-ergo della prima parte c'è questa breve introduzione:
«L'essenza della sindrome "questa volta è diverso" è semplice. E' radicata nella pervicace convinzione che le crisi finanziarie siano cose che accadono ad altri, in altre nazioni e in altri tempi; le crisi non colpiscono noi, qui e ora. Noi siamo più bravi, più intelligenti e abbiamo imparato dagli errori passati. Le vecchie regole di valutazione non si applicano più. Sfortunatamente, un'economia con un raporto di indebitamento molto alto può rimanere, senza esserne consapevole, sull'orlo di un baratro finanziario per molti anni prima che il caso e le circostanze provochino una crisi di fiducia che ve le faccia precipitare».
a p. 231 dicono gli autori:
Riassumendo, molti sono stati portati a pensare che «questa volta è diverso» per i seguenti motivi:
- Gli Stati Uniti, che hanno il sistema di regolamentazione finanziaria più affidabile del mondo, il sistema finziario più innovativo a livello globale, un solido sistema politico e i mercati dei capitali più grandi e più liquidi del mondo, sono un caso particolare. Possono sopportare enormi flussi di capitali senza doversi preoccupare (aggiunta mia: salvo il fatto che l'indebolimento dei vincoli di prudenza in atto dalla crisi del 1929 per la gasetione del rischio delle banche, iniziato dal 1990 circa, ha portato alla crisi attuale);
- le economie in via di sviluppo e rapidamente emergenti hanno bisogno di diversificare i loro investimenti individuando un porto sicuro per i loro fondi;
- la maggiore integrazione finanziaria globale rende più profondi i mercarti globali dei capitali e consente ai singoli paesi di aumentare il proprio indebitamento;
- oltre ai loro punti forti gli Stati Uniti dispongono di istituzioni di politica monetaria che, come i loro dirigenti, sono di classe superiore;
- i nuovi strumenti finanziari rendono i mercati ipotecari accessibili a un numero sempre maggiore di nuovi mutuatari (vedi qui cosa dice in proposito Harvey - L'enigma del capitale, su questo sito in Recensioni - Libri Economia e Politica);
- tutto quello che sta accadendo è solo un'ulteriore intensificazione delal globalizzazione fionanziaria resa possibile dall'innovazione, non vi è pertanto motivo di essere seriamente preoccupati.
[...] Abbiamo rilevato che nel caso degli Stati Uniti, indicatori standard come l'inflazione dei prezzi degli assets (immobili, materie prime e altro), l'aumento della leva finanziaria (quante volte una massa di denaro può crerare debito sulla fiducia, oltre il multiplo 4-5 si va verso la sicura catastrofe, perché è difficile ripare un debito di dimensioni maggiori, se non con unsistema di ulteriore indebitamento che alla fine crolla su sé stesso: sistema a piramide o schema Ponzi), gli ampi e sostenuti debiti delle partite correnti e il rallentamento delal crescita economica, mostravano praticamente tutti i segni di un paese sull'orlo di una crisi finanziaria, e di una crisi grave.
[...] In linea generale le crisi finanziarie sono avvenimenti di lunga durata. Nella maggior parte dei casi i periodi successivi alle crisi finanziarie hannoo tre caratteristiche in comune:
- In primo luogo, i crolli dei mercati degli assets sono profondi e prolungati. I cali dei prezzi reali delle case sono in media del 35% lungo un periodo di 6 anni, mentre i crolli dei prezzi delle azioni sono in media del 56% lungo una contrazione che dura circa 3,5 anni;
- in secondo luogo, i periodi successivi alle crisi bancarie sono associati a drastici cali della produzione e dell'occupazione. Il tasso di disoccupazione sale in media di 7 punti percentuali durante la fase di contrazione del ciclo, che dura in media più di 4 anni. La produzione cala (dal picco al punto minimo) di oltre il 9% in m edia, anche se la durata della contrazione, che in media è di due anni, è notevolmente più breve di quella dell'aumento della disoccupazione;
- in terzo luogo, come abbiamo osservato in precedenza, il valore del debito pubblico tende ad esplodere; nei principali episodi successivi alla Seconda guerra mondiale è aumentato di una media dell'86% (in termini reali e in relazione al debito precrisi). Come abbiamo discusso nel capitolo 10 (e come ripetiamo qui) la causa principale delle esplosioni del debito non è costituita, come si sostiene il più delle volte, dai costi dei salvataggi e dalla ricapitalizzazione del sistema bancario. Va detto che i costi dei salvataggi sono difficili da misurare e le divergenze tra lòe stime effettuate nei diversi studi sono notevoli. Ma perfino lestime che si attestano ai limiti più alti immpallidiscono rispetto agli aumenti del debito pubblico effettivamente misurati. In realtà il fattore principale degli aumenti del debito è l'inevitabile crollo delle entrate fiscali che i governi si trovano ad affrontare sulla scia di contrazioni profonde e prolungate. Molti paesi risentono anche di un'impennata dell'onere costituito dagli interessi sul debito, dovuta all'aumento dei tassi di interesse e, inalcuni limitati casi (il più evidente dei quali è stato quello del Giappone negli anni novanta) le misure di politica fiscale anticiclica contribuiscono all'aumento del debito. [...] Come abbiamo osservato, le crisi finanziarie gravi si protraggono nel tempo. Data l atendenza dei default del debito sovrano ad aumentare in seguito sia alle crisi finanziarie globali sia ai drastici cali dei prezzi globali delle merci, è più che probabile che l'effetto della Seconda grande contrazione sia un numero elevato di default, rinegoziazioni e/o massicci salvataggi da parte del Fondo Monetario Internazionale.
Il libro si conclude con questo paragrafo:
La versione più recente della sindrome del «questa volta è diverso»
Se si guarda alla recente crisi finanziaria, ci si rende conto di quanto fosse diffusa l'opinione secondo cui i debitori e i creditori avevano ormai imparato dai loro errori e che le crisi finanziarie non si sarebbero ripresentate per un periodo di tempo lunghissimo, almeno nei mercati emergenti e nelle economie sviluppate. Grazie a politiche macroeconomiche meglio informate e a politiche creditizie più selettive, si è sostenuto, il mondo con ogni probabilità non avrebbe più assistito a una grande ondata di insolvenze. Nel periodo che ha preceduto la recente crisi finanziaria un motivo spesso citato come spiegazione del perché «questa volta è diverso» per i mercati emergenti è stato quello che i rispettivi governi facevano un maggiore affidamento per il proprio finanziamento sul debito interno.
Ma questo atteggiamento trionfalistico potrebbe essere prematuro. E sicuramente non tiene conto della storia dei paesi che si avviano all'economia dí mercato. I flussi di capitale e i cicli di default esistono almeno già dal 1800, se non da prima in altre parti del globo. I motivi per cuí dovrebbero scomparire entro breve tempo non sono assolutamente chiari.
Durante il periodo che ha preceduto la crisi più recente, una delle principali sindromi del «questa volta è diverso» è consistita, nel caso dei paesi ricchi, nella convinzione che le istituzioni monetarie moderne fossero infallibili. Le banche centrali si sono letteralmente innamorate delle rispettive versioni dell'obiettivo dell'inflazione, convinte come erano di avere trovato un modo per mantenere bassa l'inflazione e stabilizzare allo stesso tempo la produzione in modo ottimale. I successi da esse così ottenuti, sebbene fondati su alcuni effettivi progressi a livello istituzionale, come in particolare l'indipendenza delle banche centrali, sono stati sopravvalutati. Politiche che sembravano funzionare perfettamente nel corso di un periodo di boom generalizzato improvvisamente si sono rivelate del tutto inadeguate di fronte a una recessione molto grave. Per di più, gli investitori attivi sui mercati finanziari hanno fatto affidamento sul fatto che le banche centrali sarebbero intervenute a salvataggio nel caso in cuí si fossero verificati dei problemi. La famosa «opzione Greenspan» (che trae il suo nome dal presidente della Federal Reserve Alan Greenspan) si basava sulla convinzione (empiricamente fondata) che la Banca centrale degli Stati Uniti si sarebbe astenuta dall'aumentare i tassi d'interesse di fronte a una forte impennata dei corsi dei titoli (senza pertanto provocarne un'inversione), ma avrebbe invece reagito con decisione a ogni loro caduta tagliando il tasso d'interesse con l'obiettivo di spingerli nuovamente verso l'alto. I mercati quindi erano convinti che la Federal Reserve offrisse agli investitori una scommessa certa. Che la Federal Reserve avrebbe fatto ricorso a misure straordinarie dopo l'inizio di un crollo è stato ormai confermato dai fatti. Con il senno di poi, è chiaro che concentrarsi sul solo obiettivo dell'inflazione può essere giustificato solo in un contesto nel quale gli altri enti di controllo siano in grado di garantire che la leva finanziaria (indebitamento) non diventi eccessiva.
La storia ci insegna quindi che anche in presenza di un miglioramento delle istituzioni e delle misure di politica economica ci sarà sempre la tentazione di oltrepassare i limiti. Così come una persona può fallire, indipendentemente da quanto ricca fosse in precedenza, anche un sistema finanziario può crollare sotto la pressione dell'avidità, della politica e della sete di profitto, indipendentemente da quanto possa sembrare ben regolato.
La tecnologia è cambiata, così come sono cambiati la statura media e i costumi degli esseri umani. Ma la capacità dei governi e degli investitori di ingannare se stessi, dando luogo ad attacchi di euforia che di norma finiscono in lacrime, sembra essere rimasta sempre la stessa. Nessun lettore attento di Friedman e Schwartz rimarrà sorpreso da questa lezione sulla capacità dei governi di gestire in maniera errata i mercati finanziari, un tema chiave delle loro analisi. E in tema di mercati finanziari, Kindleberger ha saggiamente intitolato il primo capitolo del suo libro sulle crisi finanziarie, ormai un classico, «Crisi finanziarie: una pianta sempre verde».
Abbiamo chiuso il cerchio tornando al concetto della vulnerabilità finanziaria delle economie con un enorme livello di indebitamento. I periodi di forte indebitamento si verificano il più delle volte durante una bolla e possono durare sorprendentemente a lungo. Ma le economie con un'alta leva finanziaria, in particolare quelle in cui il continuo rinnovo del debito a breve termine è basato solo sulla fiducia in assets sottostanti relativamente illiquidi, difficilmente riescono a sopravvivere in eterno, soprattutto se la leva continua a crescere indisturbata. Questa volta può sembrare diverso, ma troppo spesso uno sguardo più attento rivela che non lo è. L'aspetto incoraggiante è che la storia ci insegna quali segnali d'allarme i policy maker possono prendere in considerazione per valutare i rischi — a condizione però che non si inebrino troppo del successo alimentato dalla bolla del credito e che, a differenza di quanto hanno fatto i loro predecessori per secoli, non dicano che «questa volta è diverso».