Laicità della chiesa: attualità e problemi

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Severino Dianich, Chiesa e  laicità dello Stato. La questione teologica. Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2011, euro 10,00

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Invito alla lettura: parte 1 e parte 2

L'autore è professore emerito di Ecclesiologia e Cristologia della Facoltà teologica dell'Italia centrale di Firenze.


Questo piccolo libretto è un pacato libello su una questione centrale del post-concilio Vaticano II: quale rapporto tra la chiesa e lo stato, qualunque chiesa e qualunque stato. In particolare l'autore si sofferma sulla chiesa cattolica e gli stati democratici occidentali.

Il sottotitolo "la questione teologica" inquadra e sostanzia la riflessione, perché non è un semplice affrontare la questione di attualità in Italia che ha visto varie polemiche e pochi punti fermi da una parte e dall'altra del dibattito sul rapporto tra chiesa e stato.

L'autore va alla radice di che cosa è la chiesa e, di conseguenza, quale dovrebbe essere il suo rapporto con lo stato democratico nel mondo pluralista che stiamo vivendo.

Riprendendo sinteticamente i propri studi ecclesiologici e la storia bimillenaria della chiesa, Dianich offre a credenti e non credenti dei punti fermi che possono aiutare il dialogo, invece di incepparlo, perché il dialogo tra chiesa e stato è necessario a tutti e due i soggetti.

«L'oggetto di questa riflessione non è la natura dello Stato e il suo carattere di Stato laico, bensì la forma delal chiesa di fronte alla laicità dello Stato. La domanda che ci poniamo è: quale ecclesiologia per una Chiesa che abita in una stato laico?» (p. 16)

La costituzione del Concilio Vaticano II sulla chiesa, «Lumen gentium 2 (...la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e  lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano) ci ha insegnato che la Chiesa non è una rete di relazioni solo al suo interno, ma è un segno e uno strumento per il mondo ed è, quindi, strettamente relativa all'altro da sé. Non avrebbe senso, quindi, voler costruire un'ecclesilogia autoreferenziale. La relazione con l'altro non è un fattore conseguente, bensì un elemento strutturante, già a partire dalal concezione della Chiesa veluti sacramentum, pensata cioè come una realtà essenzialmente strumentale, destinata a manifestare e donare la grazia della comunione con Dio ad ogni uomo e ad operare per l'unità di tutto il genere umano» (p. 17)

L'autore è ben consapevole della problematica che si è venuta sviluppando con il venir meno della ricerca di autorità forti cui affidare la propria vita e la conseguente parificazione delle varie proposte culturali, filosofiche e religiose del mondo globalizzato e post-moderno.

«Ora, è importante tenere presente che tutti i complessi rapporti della Chiesa con la società sul piano culturale, sociale e politico, in realtà si intrecciano intorno a questo nucleo essenziale che è l'atto della comunicazione agli uomini della fede in Gesù» (p. 20)

Dopo aver illujstrato le forme dell'evangelizzazione nel corso dei secoli, Dianich afferma: «La dinamica essenziale e primaria della comunicazione della fede è quella propria di un atto comunicativo fra due persone e la condizione di fondo della sua praticabilità è la libertà degli interlocutori, sia nel dire, sia nell'ascoltare e sia, soprattutto nel tirarne le conseguenze. La fede o è il risultato di un ascolto gradito e di una scelta consapevole, personale e libera, o non è. Questa condizione di libertà ha bisogno di essere valorizzata non solo nella proposta della fede ai non credenti che non sono mai stati battezzati, ma anche nel rapporto della chiesa con i battezzati che non si professano più credenti. E' un'osservazione che non va trascurata, perché il costume cattolico tradizionale li considera come apostati sui quali, in forza del battesimo ricevuto, la Chhiesa conserva la sua autorità: permanendo un tale tipo di rapporto, nel quale l'interlocutore si sente giudicato e sottoposto ad un'autorità di cui non ricnosce più il fondamento, che è la fede, la proposta di credere in Cristo di fatto risulta impossibile. Solo un riconoscimento, privo di qualsiasi ambiguità, della libertà delle persone, in qualsiasi condizione spirituale si trovino, permette la comunicazione della fede» (pp. 37-38)

«Chi evangelizza, in quanto soggetto portatore del vangelo, è certo, nella consapevolezza dellasua fede, di portare un contributo assolutamente essenziale al bene dei fratelli, ma in quanto cittadino sa di essere un cittadino qualsiasi, uguale in dignità e diritti a tutti gli altri [...] Ora, la tradizione cattolica, pur non abbandonando la convinzione che la fede non può essere imposta, nel passato giocava le sue carte sull'idea che lo Stato le dovesse garantire non solo la libera espansione, ma anche un ordinamento civile omogeneo alla sua visione etica [...] Tramontato definitivamente questo sistema di relazioni fra la Chiesa e lo Stato, si ha l'impressione che la Chiesa non abia ancora trovato un nuovo equilibrio nel suo modo abituale di rapportarsi con la società civile» (pp.39-40)

Dianich passa poi ad analizzare le autocensure della chiesa rispetto al tema della missione:

«Se il cuore stesso della fede e della missione della Chiesa, cioè il vangelo e la sua proposta al mondo, ha una rilevanza pubblica e una sua singolare capacità di incidere sulla società, la stessa comunicazione della fede non può essere rinchiusa nell'area dei soli rapporti interpersonali. 

Nonostante questa osservazione di fondo, gli stessi documenti del magistero a volte si rivelano incerti e timidi a questo proposito, scegliendo spesso di parlare al mondo non già avanzando i grandi temi del vangelo stesso, ma preferendo appellarsi alla pura ragione e alla forza imperativa della legge naturale, come se quella fosse l'unica base possibile per interloquire con la società secolarizzata e dialogare con coloro che non condividono la fede cristiana.

Accade in tal modo che vengano tracciati per la missione della Chiesa die percorsi separati. 

Uno sarebbe quello della pura predicazione del vangelo, che chiama l'uomo alla comunione con Dio in Cristo, una predicazione da riprodurre continuamente all'interno della comunità cristiana e una proposta da fare ai non credenti perché vi possano entrare.

Un secondo percorso, diverso e parallelo, sarebbe quello da intraprendere per esercitare la responsabilità pubblica della Chiesa nei confronti della società civile» (pp. 46-47)

«Questa rinuncia pratica a fare del vangelo stesso il nucleo sostanziale del proprio dialogo con il mondo e del proprio protagonismo civile sta producendo l'esito paradossale di una strana forma di secolarizzazione della stessa missione della Chiesa [...] In Europa oggi, proprio perché si vive in uno spazio contrassegnato dalla libertà e dall'identico diritto di proposta dei cittadini, non si vede la ragione per cui l a Chhiesa dovrebbe autolimitarsi, collocando la sua proposta al mondo secolarizzato sul piano della sola ragione, invece di  interpellarlo, anche per i suoi problemi che non sono di natura religiosa, con la forza della parola evangelica» (p. 48)

Dianich prosegue notando come il vangelo, la storia di Gesù, sia pieno di valori umani. L'autore porta l'esempio del perdono, che la Chhiesa non ha mai chiesto fosse introdotta negli ordinamenti civili e tuttavia è sempre stato ispiratore di gesti e idee che hanno influenzato gli ordinamenti giuridici.

Per Dianich il messaggio evangelico è segnato dalla contingenza storica che accompagna ogni epserienza umana. Tale contingenza richiede l'umiltà delal fede che si propone come significativa esperineza umana, più che come imposizione di una verità soprannaturale.

«Consapevole di non poter spogliare il messaggio del rivestimwento contingente di cui essa inevitabilmente lo ricopre con la sua vita, la Chiesa può e deve rivolgersi al mondo con le stesse parole con cui Paolo si rivolgeva alla comunità di Corinto: "Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore... " (2Cor 4,7s) Ne deriva una straordinaria possibilità della fede di porsi nella società non con l'imperatività del divino, ma con l'umiltà dell'umano e così interagire con tutti, anche in una società secolarizzata e laicamente governata, che non è disposta ad attribuire a nessuno dei suoi membri, singolo o aggregazione sociale, comunità scientifica o filosofica o religiosa che sia, un'autorità unica e indiscutibile» (p. 57)

Il capitolo 7 riguarda il rapporto tra Chiesa, democrazia e potere. Il tema è delicato, ma lo svolgimento è convincente: quando la chiesa si pone come soggetto che ricerca un potere, anche buono, per imporre la propria visione di fede alla società, rischia un conflitto con la libertà di coscienza di chi non accoglie la sua proposta civile, vanificando la possibilità che la comunicazione della fede possa raggiungere il cuore di chi pensa o crede diversamente dalla chiesa.

Il capitolo 8 è di fatto un commento al n. 42 di Gaudium et Spes: «la forza che la Chiesa riesce a immettere nella società umana contemporanea consiste in quella fede e carità effettivamente vissute, e non in una qualche sovranità esteriore esercitata con mezzi puramente umani».

Il capitolo 9 propone in 6 tratti una possible nuova forma della Chiesa, a imitazione della forma di Cristo, per i rapporti con la società civile.

1) «Il primo di questi tratti è daterminato dall'assoluta preminenza dell'impegno della comunicazione della fede su ogni altra componente della missione»

2) «Un secondo tratto riguarda le finalità e quindi la qualità della relazione della Chiesa con il mondo [...] Quell'opera che spesso abbiamo designato come il servizio della Chiesa al bene comune, nell'ambito sociale e politico, dal concilio è costantemente indicata come un servizio alla pace e all'unità»

3) «Un terzo tratto della forma della Chiesa, determinato dall'esigenza della proposta del vangelo a tutti, senza alcuna discriminazione, all'interno di una società secolarizzata e pluralista, è dato dal necessario atteggiamento di rinuncia, al di là di ogni ambiguità, a quell'egemonia morale sulla società civile, che ha caratterizzato, con tutte le conseguenze politiche che ne derivavano, una più che millenaria tradizione della Chiesa»

4) «Un quarto tratto della forma Ecclesiae che oggi si impone alla comunità eccleisale e alle sue istituzioni, e sul quale molti oggi insistono, è dato dalla necessità di rafforzare, nei rapporti con la società, con le altre Chiese e con le altre religioni, l'identità cristiana dei credenti e delle loro comunità. Questa, però, non è data dalla capacità di contrapporsi a tutte le altre visioni del mondo con cui la Chiesa si confronta nel mondo contemporaneo, ma piuttosto nella forma antimondana con cui la Chiesa si presenta sulla scena del mondo»

5) «Ne deriva che un altro tratto della forma della Chiesa è l'apostolica vivendi forma. Qui bisognerebbe riaprire il dossier sulla povertà nella Chiesa, che era stato elaborato durante la terza sessione del concilio da un gruppo di vescovi, rimasto noto come il gruppo che si riuniva presso il Collegio belga. Lo stimolo era partito dallo stesso papa, quando in Ecclesiam suam Paolo VI» invitava i vescovi  a dire «come debbano pastori e fedeli alla povertà educare oggi  il linguaggio e la condotta»

6) «L'ultimo tratto della forma della Chiesa, che le permette di svolgere la sua missione in una società secolarizzata e democraticamente ordinata in uno Stato laico, è proprio quella della sua fondamentale laicità» della chiesa, naturalmente!

Dianich conclude che «un buon equilibrio dei rapporti non è stato ancora raggiunto» e la coscienza ecclesiale, prima ancora di «denunciare la negatività della società civile», se si esaminerà, «vedrà emergere prima di ogni altra cosa il bisogno di prendere atto serenamente della situazione mutata».