Sequeri__Idoli

 P. Sequeri, Contro gli idoli postmoderni, Lindau, Torino novembre 2011, euro 11,00

Ho scelto di recensire questo libro in questa sezione perché mi pare attenga a una questione di discernimento e dunque alla coscienza, là dove decidiamo in vista del bene per evitare e contrastare il male.

Il tema è antico, nel senso dell'Antico Testamento, ma è attualissimo, perché gli idoli esistono sempre nella storia degli uomini. Essi sono segni di morte, perché assoggettano la libertà dell'uomo, al contrario del Dio vero che promuove la libertà dell'uomo, e dunque per questo vanno combattuti.

Sequeri è un ottimo teologo, uno dei maggiori in Italia e in Europa, poliedrico nei suoi interessi e molto attento alla post-modernità.

Egli concentra la sua analisi su quattro idoli:

la fissazione della giovinezza, l'ossessione della crescita, il totalirismo della comunicazione, l'irreligione della secolarizzazione

proponendo poi quattro antidoti, uno per ciascun idolo, e una riflessione finale.

E' un quasi-manifesto come dice l 'autore stesso:

«Noi, popoli cristiani d'Occidente, abbiamo meritato le conseguenze di questa ricaduta nel paganesimo. Ma ci è consentito un soprassalto di orgoglio: possiamo smascherare l'incantesimo della cultura nichilistica che pretende di rappresentarci, e aprire mille  luoghi d liberazione. Ci sono rimasti più di dieci giusti, per convincere Dio, in favore delle generazioni che vengono, che non siamo così indegni dei doni ricevuti». 

Segue una lunga recensione, che vale la pena di leggere.

 

Partendo dal testo di Apocalisse 13:

1E vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo. 2La bestia che io vidi era simile a una pantera, con le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone. Il drago le diede la sua forza, il suo trono e il suo grande potere. 3Una delle sue teste sembrò colpita a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita.

Allora la terra intera, presa d'ammirazione, andò dietro alla bestia 4e gli uomini adorarono il drago perché aveva dato il potere alla bestia, e adorarono la bestia dicendo: "Chi è simile alla bestia e chi può combattere con essa?".

5Alla bestia fu data una bocca per proferire parole d'orgoglio e bestemmie, con il potere di agire per quarantadue mesi. 6Essa aprì la bocca per proferire bestemmie contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua dimora, contro tutti quelli che abitano in cielo. 7Le fu concesso di fare guerra contro i santi e di vincerli; le fu dato potere sopra ogni tribù, popolo, lingua e nazione. 8La adoreranno tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto nel libro della vita dell'Agnello, immolato fin dalla fondazione del mondo.

9Chi ha orecchi, ascolti:

10Colui che deve andare in prigionia,

vada in prigionia;

colui che deve essere ucciso di spada,

di spada sia ucciso.

In questo sta la perseveranza e la fede dei santi.

11E vidi salire dalla terra un'altra bestia che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, ma parlava come un drago. 12Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. 13Opera grandi prodigi, fino a far scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini. 14Per mezzo di questi prodigi, che le fu concesso di compiere in presenza della bestia, seduce gli abitanti della terra, dicendo loro di erigere una statua alla bestia, che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta. 15E le fu anche concesso di animare la statua della bestia, in modo che quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non avessero adorato la statua della bestia. 16Essa fa sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevano un marchio sulla mano destra o sulla fronte, 17e che nessuno possa comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. 18Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: è infatti un numero di uomo, e il suo numero è seicentosessantasei.

Sequeri commenta così il testo dell'Apocalisse nella prefazione:

«Letto oggi, questo testo, più che una visione oprofetica, sembra analisi sociale pura e semplice. L'irreligione violenta e persecutoria delal prima bestia, vine metabolizzata nel potere di manipolazione e di omologazione delal seconda bestia. Riconosciamo la piotenza tecnologica (la statuta-robot della prima bestia impara a parlare ed è in grado di sanzionare chi non si piega la suo sistema di ommologazione), l'efficacia propagandistica (fuoco aereo e effetti speciali), l'efficienza burocratica (fidelity card identificativa: chi non la possiede non compra, non vende, non mangia, non è nessuno).

L'egualitarismo assicurato burocraticamente e la libertà illusoria degli accessi è l'ultimo capolavoro del dominio. A quel punto, infatti, il mostro dissimula completamente la violenza dell'assoggettamento: soltanto uno spirito vigile e acuto riesce a cogliere l'abissale differenza fra la l ibertà di mercato e la libertà di pensiero».

Riassumo il seguito: l'analisi la conosciamo bene, ma difettiamo nella proposta.

«In un mondo che perde logos (per me intende: intelligenza del senso), la reazione a catena del polemos (della guerra, dell'aggressività, della violenza di tutti contro tutti) guadagna terreno e si fa incontrollabile. In un mondo che rimane senza l'udace e creativa testimonianza dell'umanesimo cristologico, il politeismo degli dèi razzisti e corporativi occupa la scena. Il tentativo di annichilire il cristianesimo lavora certamente per il nichilismo - dovunque accada. Lo svuotamento dell'incarnazione di Dio fa regredire la religione e l'ominizzazione: indisgiungibilmente. Per questo, noi per primi ci dobbiamo purificare col fuoco, pur di restituire all'Evangelo il suo onore. Non solo la sua verità. L'Occidente, del resto, ha covato a lungo il suo uovo di serpente. Puntuale arriva la sua moria dei primogeniti.

Infine c'è un lavoro urgente da fare: riguarda beni di prima necessità per l'ominizzazione, che il mercato ha dismesso. Chi ha qualcosa da dare, e voglia lavorare per il riscatto della generazione, a qualsiasi popolo appartenga, sarà bene accetto».

Sintetizzo: questi quattro elementi non sono immediatamente percepiti come idoli, ma proprio qui sta la loro insidia. Essi si presentano sotto la forma di un bene, mentre bene non sono:

«L'idolatria di maggior successo si raccomanda proprio in virtù della sua apparente esaltazione di ciò che rappresenta una promessa di realizzazione buona del desiderio collettivo. L'eccellenza che si concede alla corruzione genera il peggio del peggio. La volontà di potenza che preme per travolgere il vincolo tra legame sociale e umanesimo etico, sotto il segno del progresso delle tecniche e dell'aumento delle risorse, ha individuato queste figure come simboli funzionali alla propria legittimazione.

La testa del parassita, però, che ha piegato irresistibilmente verso l'idolatria il moderno umanesimo razionalistico della coscienza, ha una precisa identità. Lo indico come principio di autorealizzazione. Nel passaggio all'autorealizzazione tecnologica dell'Io pensante, che lo ha travolto, si è innescata la deriva del nichilismo specifico della nostra contemporaneità: l'autismo etico dell'Io sentimentale.

Eresia della verità cristiana della persona, il cui logos aveva aperto l'Occidente alla sua destinazione. Corruzione dell'umanesimo moderno, che ha requisito il pathos dell'immenso e felice lavoro della generazione, dirottandolo verso le tristi passioni di un ethos individualistico e predatore, che diventa nomos di massa. Le figure etiche dell'autodeterminazione (libertà di coscienza, potenza della volontà) ne sono state inquinate e stravolte: sottratte alla splendida giustizia del voler-bene; e indotte a lavorare , per la propria emancipazione contro l'umano che è comune. La civetteria postmoderna dell'intellettuale, che fornisce legittimazione all'individualismo etico, e giustifica criticamente l'intimidazione di ogni umanesimo difforme - soprattutto quello cristiano -, fa il lavoro della seconda bestia. Intanto, nel delirio di onnipotenza che si è innestato sulla falsa crdenza dell'autofondazione, il soggetto umano è più solo, più vulnerabile, e più esposto allavolontà di potenza: perde il mondo e svuota se stesso».

 

Capitolo 1 - Giovani

Puer aeternus?

 «Incominciamo dall'idolo dell'adolescenza interminabile. Esso si nutre di un prodotto culturale recente: l'esistenza separata di un mondo giovanile con logiche proprie, desideri propri, organizzazione propria, irresponsabilità propria. In pochi decenni, questa invenzione post bellica (essenzialmente mercantile) ha generato, per contraccolpo, l'universo tignoso della competizione senile: incorporazione di uun'adolescenza infinita, scarso interesse per il lavoro della generazione, ricerca di complicità nel godimento. Ma al tempo stesso difesa corporativa del potere e di tutti i suoi accessi».

 «L'estrapolazione della giovinezza dalla transitorietà della sequenza della storia individuale si è saldata con al sovrapposizione all'idealità dell'umano emancipato, liberato, felice e signore di sé. Nell'adolescenza prolungata, la deriva verso il narcisismo sistemico si cronicizza socialmente».

«Il cricolo vizioso alimenta se stesso. I giovani, di certo, non ci guadagnano nulla da questa fissazione. Il movimento di attrrazione che la condizione giovanile, come mito di una vitalità permanente che neutralizza la vita storica, esercita sulla condizione adulta la incoraggia a concepire univocamente la maturazione e la restituzione come perdita (una malinconica consumazione di energie che disperde la potenza e riduce il godimento)».

«L'adulto è fortemente sollecitato a diventare dimissionario nei confronti della sua attitudine ad essere mediatore responsbaile dell'umanizzazione per la generazione che viene». 

«L'adolescenza, in questa sua più vasta stratificazione dell'essere-spensierato e dell'essere-rigenerabile, è ormai un carico socialmente diffuso, che incide complessivamente sull'intero sistema. L'econommia dei consumi ne trae vantaggio, ma la società ne patiosce un peso insostenibile. [...] Dal punto di vista antropologico, la ricaduta di questa scissione - e della relativa fissazione - è ormai sistemica. Di fatto, abbiamo cominciato a perdere il senso delle stagioni e dell'unità della vita; anzi della storia individuale e della sua destinazione. E perdiamo il senso più pienno della libertà: mai così potente come quando si distacca da sé per incorporarsi definitivamente in un altro, destinato a non essere la semplice espansione del mio desiderio».

«L'adolescenza, questo accumulatore di potenza in folle, sul quale innestare la marcia una volta messo a punto l'azzardo di un progetto, e definite le coordinate essenziali della propria rotta, è intrinsecamente destinata alla transitorietà».

«La sua potenza - che non si riforma più - è in funzione del decollo, dell'assetto, della stabilità del volo. E' per imparare a guidare, a portare altre persone a destinazione, ad arricchire di pensieri e opere  la comunità degli umani. Ciascuno di noi è perfettamente in grado di acquisire abilità e competenze, anche affettive, largamente superiori al proprio fabbisogno cognitivo e libidico, che sono naturalmente destinate ad altri. Al punto che, se cerca ostinatamente di consumarle in proprio, esse si corrompono e marciscono. Il processo si annuncia già nell'adolescenza: l'ossessione dell'autorealizzazione che abbiamo instillato negli adolescenti si metabolizza in legioni di inconsapevoli isterici e replicanti. Lo sappiamo, ormai, perché sono talemtne tanti che stiamo imparando a conviverci. L'adolescenza privata del suo naturale addestramento al progetto di dispendio indirizzato all'umano che è comune delle energie che accumula, e delle quali deve saggiare la forza e i rischi attraverso il graduale innalzamento dei coefficenti di attriuto (si chiamava iniziazione), è indotta a gettarsi scompostamente nella prova della forza e del rischio: l'azzardo distruttivo sostituisce l'iniziazione mancata. D'altro canto, la stabile condizione del culto di potenzialità sempre ossessivamente autoriferite, senza assegnazione di vincoli di destinazione, incomincia a consumare la sua stessa vitalità, nutrendosi di se stessa, invece che consumarsi - come deve - alimentando la vita».

Iniziazione a termine

«La mossa contro l'idolo è semplicemente questa: è necessario restituire attrattiva specifica e dignità morale all'ambizione di essere adulti.

Ora, la facoltà essenziale di questa figura è appunto la facoltà di tenere al prossimo come a se stessi.

E' necessario restituire prestigio al desiderio di chiudere presto e bene il lavoro dell'iniziazione, per essere riconosciuti all'altezza di provvedere ad altri».

«L'individuo che è capace di farsi prossimo è un adulto degno di sedere nel consesso degli uomani; chi è capace di amare solo se stesso, non ancora. Il passaggio contiene il suo punto di sforzo naturalmente, che mette alla prova del punto di rottura con l'incantamento narcisistico in cui veniamo al mondo: è il compito universale dell'iniziazione (formazione, educazione), che è anzitutto iniziazione all'umano».

Segue una bella mediatzione sulla affezione per l'altro.

«Pe rquanto di possa apparire incredibile, l'umano funziona così: chi edifica ossessivamente per sé, impoverisce sistemicamente le sue qualità migliori. Non soltanto le sue: abbassa la qualità umana e il potenziale complessivo. La favola di Mandeville rimane una favola, appunto. Ed è particolarmente chiaro oggi, nel momento in cui essa è stata convertita in teoria. Siamo la parte più ingorda e ingozzata del pianeta, siamo culturalmente smaliziati e critici, e ci siamo riempiti di isterici e infelici. Non eravamo stati ancora così stupidi».

 

Capitolo 2 - Crescita

Eros dell'accumulazione

«L'esigenza della crescita, che è propria dell'adolescenza, spalmata sull'intero dell'affezione e saparata da ogni destinazione, si trasforma nel mito della crescita: potenza infinita e consumo del senso. La catena della generazione della qualità spirituale, etico-affettiva, dell'umano - che è il grembo dell'iniziazione e poi il banco di prova della sua riuscita - è in grande stato di sofferenza nelle società occidentali. L'attivo parassitismo dell'economia finanziaria e il nuovo Super-Ego dell'economia dei consumi, oramai, fanno il resto».

«L'unità esistenziale dell'umano, come un'unica storia di senso che va dal cooncepimento al congedo - legame generazionale, legame sociale -, è pesantemente sotto attacco.

Il punto critico, infine, si mostgra proprio qui: l'avidità autoriferita del potere e del godimento si è indediata nella sfera pubblica del diritto. IN altri temrini non è più un vizio, neppure privato. E' un'esigenza che corrisponde alal natura umana, si sostiene: dunqnue andrebbe sottratta alla pregiudiziale moralistica, e più correttamente indicata come ricerca della propria realizzazione e desiderio di crescita. La sua rivalutazione legale ha superato anche la barriera della democrazia spinoziana della ragione (dove la cupiditas è intesa come il desiderio di permanere nel proprio essere naturale) per saldarsi strettamente con quelal che potremmo indicare come anarchia nietzscheana della volontà (dove l'essere naturale è il diritto di potenziare il proprio desiderio). Oggi, però, il mito della crescita illimitata non è più neanche epico, come ai tempi della colonizzazione occidentale: è un riflesso condizionato della formazione di base allo sviluppo delle risorse, di cui si occupano la burocrazia delle manovre economiche e la psicologia delle lettere al direttore. La volenterosa mediazione della lex mercartoria (le famose leggi dell'economia), nuova signora della civiltà dei diritti, e la benedizione scientifica dell'ideologia archeo-evoluzionistica della selezione hanno guadagnato al desiderio di potenza accrescitiva la dignità etica di legge naturale fondamentale (l'unica, a quanto sembra, che venga ancora riconosciuta).

Fra la potenza del denaro e le politiche dell'economia si è aperta, a quanto pare, una sfida cruciale. Il desiderio di potenza non garantisce niente, sembra: neppure se stesso. La pretesa di autoregolazione dello scambio mercantile non mette più soltanto in competizione modelli di sviluppo, mette in discussione la sovranità della politica: revoca in dubbio l'ispirazione umanistica del diritto e rivendica la superiorità legale del mercato. La dipendenza strutturale della specializzazione utilitaristica dell'economia (che ha fondato il '900 politico) si è trasformata in assoggettameno culturale alla logica finanziaria della crscita (che ha sfondato il politico)».

«La politica, certo, sembra piuttosto malmessa: il suo stato di soggezione al condizionamento dei poteri economici è straordinariamente evoluto, e il suo livello di corruzione significativamente oltre il livello fisiologico. D'altra parte la sovranità politica è per così dire costretta a porsi come antagonista di questa soggezione: lo impone il suo titolo di rappresentanza democratica».

«E' la condanna dei beni umanistici alla marginalità economica: in se stessi sono ormai concepiti come oneri, infatti, che non ci fanno crescere (a parte la formazione dei tecnici e lo spettacolo di massa). Il  loro incremento e la loro circolazione devono essere necessariamente concepiti come variabili dipendenti. [...] Questa subordinazione, a fronte di certi vantaggi qualitativi, comunque accuratamente selezionati, plasma e modifica la formazione e la composizione di tutti i beni umanistici. Esalta le loro parti economicamente utilitarie, comprime la relazionalità dello scambio, stravolge al natura del lavoro di prossimità, indirizza commercialmente le priorità e le necessità. Rende infine l'umanesimo negoziabile».

«Ecco l'asse di formazione dell'idolo odierno della crescita: la finalità utilitaristica che ne ha raccomandato l'adozione, in ragione di determinati vantaggi sociali, va ora sciogliendosi nell'eccitazione libidica della loro pura disponibilità, esasperata per pochi, illusoria per molti. Volontà di potenza pura, per così dire: gode della possibilità del godimento. Una potenza virtuale che si gode da sola. Stupefacente».

«E' oramai evidente, credo, che nulla valga veramente qualcosa, dal punto di vista della qualità spirituale umana, nella quale viviamo, ci muoviamo e siamo, può sopportare ancora a lungo il suo assoggettamento all'ingiunzione di compatibilità dell'umanesimo civile con la devozione all'idolo della crescita economica. Nuova etica sociale, nuova religione civile: è inevitabile. Personalmente ritengo che le sole mosse di ricomposizione interna fra gli equilibri, o di riarmo morale della cittadinanza, siano già insufficenti, da sole, per usicre dal doppio legameche strangola la reinvenzione della vecchia Europa (alla soglia di guerre civili di natura economica, senza idealità alcuna) e la sestina al congedo dalla scena della storia.

Il canone inverso della polis

«La sfida è imponente. Il corpo a corpo sarà duro e il suo esito non del tutto prevedibile (d'altra parte la violenza eccitata dall'idolo, già ora, non scherza). Nello stesso tempo la questione sembra matura: l'onda sismica della crisi finanziaria globale, i cui contraccolpi scuotono gli assetti della sovranità politica, sta riempiendo la stampa quotidiana di analisi del punto di rottura  che soltanto pochi anni fa sarebbero state respinte come esagerazioni. Esse infatti lasciano intravvedere abbastanza concordemente che, in ogni caso, le scelte non possono più limitarsi alle misure di compensazione della crisi economica (pur necessarie): devono essere scelte di campo, che attengono al quadro dell'etica civile vincolante per la stessa sovranità politica.

Dal punto di vista antropologico generale - quello che qui ci interessa -, credo che il processo di disincanto dell'ossessione narcisistica del desiderio, che ispira l'idolatria di acccrescimento virtuale delal potenza godibile, paralizzando il lavoro dell'affezione umanistica reale, e sperperando la generatività dell'umano habitat (spirito e mondo), si disponda a un duplice livello.

Il primo è certamente la riabilitazione di sovranità della politica umanistica, ossia la sua emancipazione dalla riduzione a funzione e variabile dipendente della sovranità economica. La politica è un fatto sociale totale del diritto e della cultura delle relazioni umane: isitutisce e alimenta il rapporto fra il bene comune e la giusitzia condivisa. Il bene comune iscrive i beni economici all'interno delle qualità umanistiche di una cultura civile, ossia di una civiltà etica. la giustizia condivisa non si limita alla semplice spartizione del bene comune: concorre alla istituzione della dignità ei modi della sua produzione e alla valutazione della legittimità del godimento. Giustizia e libertà, in effetti, sono intrinsecamente connesse, e al tempo stesso reciprocamente irriducibili. Il loro difficile rapporto, in realtà, è la parte più alta della cultura politica. La libertà non è un fine, e la giustizia non è un mezzo (un tema impossibile da argomentare, senza attingere alla sapienza religiosa circa il loro fondamento. Ma di questo parleremo nell'ultima parte).

In questa prospettiva, non dovrebbe scandalizzare il fatto che la politica disponda del potere di ingiunzione e di interdizione che è necessario per contrastare la potenza del dispotismo economico e dell'arbitrio libidico. Il canone dell aprova è inverso. Non è la governance del patrimonio umanistico delal polis che deve dimostrare di essere compatibile con la potenza dell'accumulo e con l'arbitrio del godimento. E' il contrario. Direi anche di più. La dimostrazione della compatibilità non può essere semplicemente qustione di legalità procedurale, ma questione sostanziale di legittimità etica. La reciproca extraterritorialità dell'etica e del diritto è un pregiudizio letale per la sostenibilità culturale del legame sociale».

L'accumulo legale, ma senza etica non è più possibile. La menzogna della vita buona come ricchezza, lusso e potere (ancorché legalmente conquistati).

«La mia  libertà finisce quando incomincia quella dell'altro», fa un bell'effetto, ma nutre pessimi effetti. Un vero e proprio invito all'autismo della libertà, che nel suo dominio individuale è perfettamente irresponsabile.  E un sicuro incoraggiamento a spostare il più possibile il paletto: se posso contrastare legalmente la libertà dell'altro, si allargherà legittimamente la mia. Il lugo comune dell'emancipazione vuole che l'amore  (per qualsiasi oggetto) sia libero, per definizione. E che il potere (in qualsiasi forma) sia dispotico, per definizione. Il fatto è che la filosofia e la teologia correnti non hanno semplicemente discorso sui lati oscuri dell'amore e sulla gisutificazione etica del potere».

«Il secondo punto di applicazione dello sforzo teso a smascherare l'idolo d'oro è appunto nel duro richiamo alla politica perché si riprenda il discorso sull'ordine degli affetti che istituisce  l'umanesimo etico - ossia sulla giustizia non meramente distributiva - come tema proprio e non presunzione aliena nella buona amministrazione (diakonia e oikonomia) del legame sociale.

La regolazione politica del mercato, nell'attuale congiuntura occidentale, rimane condizione necessaria ma totalmente insufficiente. La potenza di ricatto dell'odierno potere finanziario, infatti, sotto la copertura ideologica della crescita del benessere e della disponibilità di godimento, da sola, non mette al riparo la politica economica dalla deriva di una più salda alleanza fra il dispostismo liberistico e legalizzazione politica. I membri delle elite multinazionali non ci tolgono il voto. Si limitano a far presente ai governi che smetteranno di investire.

In questa chiave, il rispettabilissimo e corconstanziato invito al dialogo cooperativo, come essenza della formazione discorsiva del politico (come ha teorizzato Habermas nella formuola dell'agire comunicativo), mi sembr augualmente insufficiente, ancorché necessario. Analogamente, la coraggiosa e provocante utopia della conversione alla drastica inversione di rotta rispetto all'accumunlazione e al consumo (come quell aterorizzata da LAtouche in termini di decrescita felice), alla quale va tutta la mia simpatia, non coglie esattamente il punto.

Il rovesciamento del mito della crescita, infatti, pone problemi di discernimento uguali e contrari: è necessario evitare che essa si confonda con la libera uscita individuale dalal cittàdei consumi, consentita soltanto a chi può contare sull'accumulo di una rendita sufficiente. Più o meno come l'odierna riscoperta filosofica del primato etico dell'alterità, rovesciamento simmetrico dell'autoreferenzialità dell'io, rischia di cambiare semplicemente di segno al narcisismo, senza riabilitare necessariamente l'etico per entrambi.

In ofgni caso, il confronto,oggi, è con la regressione zoologica della decifrazione dei fondamentali dell'umano. Negli istinti primari di competizionen per il territorio, il cibo, le donne, il dominio del branco e l'emulazione dei predatori, sono cercate le basi certe per la comprensione sostanziale - ontologica - del nostro universo affettivo e mentale, cjhe la specializzazione evolutiva avrebbe dotato di superiori capacità di programmazione e ottomizzazione razionale. L'affinità con gli schemi dottrinali del liberismo economico è osservata con compiacimento, da molti, come una conferma culturale.

Eppure (e la considero una buona notizia) vedo qualche sintomo dell'odierna disperazione postmoderna,. in questa ossessione che mette alla prova ogni apparenza di solida e universale  condivisione del giusto (del vero, ,del bene) nella speranza di trovare qualcosa di etico che resista alla furia decostruttiva.

La politica occidentale è povera di discorso della qualità umana: il logos umanistico, indispensabile alla politica secondo giustizia, è ai suoi minimi storici.

Detto ruvidamente e per metafora: la politica non onora, non protegge e non incrementa, come dovrebbe, la nostra essenziale differenza dall'insetto ingegnoso, dall'organismo efficiente, dal predatore astuto. In questo senso non ci rappresenta affato adeguatamente. Il sostegno della crescita economica senza destinazione umanistica  nichilismo contrattuale annunciato.

La soluzione politica è un corposo rincaro del consenso democratico, che selezioni l'accesso alla rappresentanza in base alla capacità di esporre alla riprovazione sociale la crescita economica senza destinazione umanistica.

Il prevalente consumo ecclesiastico della dottrina sociale della chiesa in termini di mero aggiornamento teologico-mmorale dei credenti, in vista del dialogo con la società contemporanea, invece che come nucleo generatore di una dottrina alta e competente del superamento laico-politico dell'individualismo etico e della democrazia mercantile, è certamente un fattore di grave indebolimento delle probabilità di successo pacifico e costruttivo dell'inevitabile transizione.

La chiesa cattolica è, attualmente, l'unica istituzione globale in controtendenza: essa indica l'attitudine etica alla pro-affezione come fondamento civile dell'umanesimo della persona; e l'incremento condiviso di beni umanistici come principio politico di prosperità della cittadinanza.

  

Capitolo 3 - Comunicazione

Il medium come soggetto 

«Oggi si può comunicare virtualmente, a livello planetario, anche snza sapere niente. E anche senza avere niente da dire. La comunicazione mediatica avanzata è funzionale all'interesse del mezzo, deve confermare il suo vantaggio di intermediatore. Il mezzo controlla accesso e uscita del messaggio. Persino la critica del sistema, se è abbastanza spettavolare e accetta le regole, è metabolizzata all'interno di questos ocpo supremo. La libertà di espressione è trattabile, ma il copiono della trattativa è rigidamente vicnolato da regole precise di selezione e trattamento.

L'interesse crescente del mezzo è quello di non lasciarci mai soli: se dovesse semplicemente ridursi a strumento della nostra comunicazione, come apparatop che la facilita e la estende, la potenzia, il mezzo sarebbe in nostro potere»

«La struttura bnarrativa e performativa del linguaggio ne viene senza dubbio potenziata. Però,  la sua predisposizione alla formazione del pensiero e alla prova di realtà ne viene proporzionalmente destabilizzata».

«Il passaggio della comunicazione mediatica dal dominio della ragione strumentale (i cui vantaggi sono fuori discussione) alla controfigura divina di una sorta di demiurgo relazionale dispotico è, appunto, il passaggio all'idolo. L'initeresse commerciale e finanziario che essa ha incorporato spiega molte cose. Non ancora la divinizzaizone, però. Essa arriva dall'investimento ideale dell'IO narcisistico che vi si proietta: essere lo specchio riflettente di tutto, riflettendo se stesso. Essere come il dio nel quale si vedono tutte le cose, con la facolta di dominare su di esse senza essere visto. Delirio della comunicazione totale, che la annulla totalmente.

 

Serpenti e colombe

La raccomandazione ripetuta del magistero pastorale cristiano, che insiste sulla natura strumentale del dispositivo mediatico della comunicazione, da porre al servizio della verità delle cose e del rispetto delle persone, ha potuto sembrare ingenua. Non lo era. E oggi, più che mai, questa si rivela essere la prima mossa decisiva della lotta all'idolo. Imporgli di riposizionarsi, socialmente e concettualmente, nel suo rango di servizievole automatismo, restituendo contemporaneamente ai soggetti reali della sua gestione, che sono sempre umani in carne e ossa, l'intera responsabilità etica del suo esercizio. Lo smascheramento, però, e perciò il modellamento di un ethos difforme da quello vigente,, chiede cultura più avvertita della complessità e qualche sofisticazione strategica maggiore».

«I dispositivi della comunicazione hanno a che fare con il linguaggio, e il linguaggio è uno strumento sui generis. Il linguaggio non serve soltanto per la comunicazione umana: crea l'umano, anche». 

«Questa è anche la nostra prima e fondamentale risorsa contro l'idolo. La nostra prima battagklia sarà duqnue una battaglia per la bellezza e la ricchezza della lingua madre dell'umano. E si deve badare bene a non risolvere quest'obiettivo nel semplice incremento della facoltà di esprimersi meglio. E' un problema di ominizzazione, non di redazione del curriculum».

«Il secondo fronte della lotta - che deve abbattere l'idolo e perciò liberare la comunicazione dalle sue ossiessioni - si dispone intorno alla feconda dialettica fra comunicazione e disciplina dell'arcano, parola e silenzio, spregiudicatezza e riservatezza. La comunicazione non è l'arte di spogliarsi per suscitare a qualsiasi prezzo interesse nel mercato delle offerte propagandistiche. Esiste un discernimento dei modi, spazi e tempi, della comunicazione, che conosce la differenza tra esibizionismo e franchezza, come anche quella fra reticenza e rispetto. Il pudore che circonda la comunicazione di ciò che non si compra e non si vende è il riscontro virtuoso della spregiudicatezzza che aggira l'idolo, esponendolo al ridicolo»».

«La verità ha in se stessa la sua forza: se vorrete imporre ai suoi testimoni di tacere "grideranno le pietre! E l'altro senso: come fare la differenza? Forse è rimasto soltanto il cristianesimo a tenere in campo il tema dell'ambivalenza dell'atto di comunicazione, senza semplificarla come menzogna inevitabile o come relaztivismo devoto».

Sequeri propone le parabole come modello comunicativo che fa uscire la comunicazione dal gergo devoto per restituire profondità di senso al dire religioso che interpella il cuore dell'uomo.

 

Capitolo 4 - Secolarizzazione

Libertà e irreligione 

La secolarizzazione, lo sanno tutti, è composta di due parti fra le quali ancora oggi è difficile tracciare il confine. Da un lato fu slancio di emancipazione dell'umanesimo civile dalal tutela ecclesiastica, con effetti certamente epocali: dall'accallerazione dei progressi della scienza all'affermarsi della democrazia politica. In tale tale evoluzione è certo riconoscibile l'impulso di una ispirazione legata alla dottrina biblico-cristiana della consegna della creazione e della dignità della persona. Dall'altro, la secolarizzazione fu piegata a un puntiglioso progetto di superamento della religione, eredità di una visione arcaica del mondo, disciplina incompatibile con l'umanesimo della ragione.

La saldatura fra l'uscita dal regime teocratico della sovranità politica e l'istituzione dell'ateismo metodico delal ragione umanistica continua a essere al centro del conflitto delle interpretazioni».

«Nella deriva postmoderna, in ogni modo, la secolarizzazione e la laicità postmoderne - intese ormai come valori non negoziabili - sembrano disposte a offrire asilo culturale all'irreligione, in base all'assunto che essa si batte comunque, nell'interesse comune, contro la vocazione totalitaria della convinzione di fede e a favore dell'emancipazione individuale dei dirittiNel frattempo l'idolo perfetto si è formato. L'allucinata sequenza tra fine degli assoluti e paradiso della libertà, lungo il passaggio attraverso la critica delal stessa modernità, ha generato l'icona della sua devotio postmoderna (insieme ocn il suo effetto di dispotismo tecno-economico globale). Nella postmodernità non è più Prometeo il primo santo del calendario irreligioso, come voleva Marx. E nemmeno Dioniso, come voleva Nietzsche. E' Narciso. Il nomos erotico della libertà, che si risolve nell'appropriazione di se stessa, si è emancipato, cercandone al tempo stesso la sostituzione, dal logos cristologico dell'affezione per l'umano che è comune (l'inedito religioso in cui il cristianesimo ha imparato a nominare Dio).

In questa posizione, certo, ogni eteronomia - etica, riflessiva, affettiva - cade pregiudizialmente sotto il sospetto di ideologia prevaricatrice. Ma questa posizione ha un intrinseco carattere distruttivo».

Il discorso di Genesi 3 dice come la posizione prometeica, che il serpente suggerisce all'umano, sia falsa.

«La trasgressione di Adamo non ha motivo di concepirsi come libertà di conoscere e di dominare il mondo. Questa, infatti, è la consegna stessa di Dio, fin dall'inizio. Non c'è bisogno neppure di strapaprgli l'immagine e la somiglianza: sono già, nella finitezza insuperabile della creatura, il sigillo dellal creazione dell'uomo. L'interdetto, infine, censura il delirio di sostituzione divina e di rimozione del dono; ed è una rivelazione preziosa del pericolo mortale che insiste nella pretesa - umanamente insostenibile - di incorporare («manigare») in sé il fondamento ultimo della giustizia e il potere assoluto delal vita. E' vero che la maturazione di quest'originale seme delal rivleazione, che illumina la creazione in modo difforme dal cliché del mito generale della colpa e della caduta, ha vissuto una lunga incubazione, prima che divampasse la scintilla del suo incontro con lp'inedito cristologico dell'umanità di Dio ad accendere la storia di un nuovo umanesimo religioso dell'uomo».

«In questa prospettiva, la modernità sarebbe, al tempo stesso, irreligione apparente e secolarizzazione incompiuta. Nel frattempo il festoso comnnubio tra libertà di coscienza e interessi del capitale ha insediato il modello del nuovo ideale umanistico: trasversale agli schieramenti politici e religiosi tradizionali, respinge ogni pretesa universalità del nomos e abita nondimeno un'incontrastata globalità dell'ethos. Il suo mito di riferimento è Narciso, l'eterno adolescente».

«Narciso rispecchia se stesso, ed è interamente preso dalla ricerca di sé. Persino amare altri ed essere amato da altri lo disturba, nel momento in cui questo amore m inaccia di distrarlo dal vero godimento, che è la gratificazione della propria immagine di perfetta seduzione. Narciso si sottrae alla destinazione del pensiero generativo, così come si sottrae al sacrificio del lavoro creativo. Non c'è confronto moderno con la legge del padre, c'è regressione postmoderna al grembo della madre. Prometeo è ribelle nei confronti dei divini, ma almeno accetta di sacrificarsi in favore degli umnai. Narciso è indifferente ai divini e agli umani. Rivolgendola ossessivamente su di sé, Narciso conduce inesarabilmente l'affezione verso l'anaffettività, l'estetica verso l'anestesia. NArciso non lavora, non rischia, non pensa: è uomo/donna di immagine, non di parola».

Il vitello d'oro oggi si forma qui. Ha la forma di un'ottusa alleanza fra libertà di arbitrio e volontà di potenza che mira alla perfetta passività di entrambe: godimento virtuakle, anoressia totale. Mentre i saggi discutono sulle nostre radici fra Atene, Gerusalemme e Roma, e i devoti dialoganno sul luogo più esatto per adorare Dio, l'Idolo fa il suo lavoro per il dominio delle città del mondo, a qualsiasi religione appartengano. Adesso sembra democratico, laico, politicamente corretto. Ma lo fa per soldi. Che vogliamo fare? Credenti o non credenti, quanti siamo, è ora di onorare l'impegno senza svicolare in dialoghi troppo socratici: o siamo contro l'idolo che ci mangia i bambini, o siamo fiancheggiatori della sua devozione intoccabile. L'irreligione agnostica - è rpovato dalal storia - non è una buona mossa. L'arroccamento confessionale - è provato anche questo - nemmeno. Vogliamo continuare a parlarci fra noi vecchi, finemente duellando per l'onore delle nostre passate glorie, o vogliamo pensare ai ragazzi, finalmente?».

 

L'umanesimo del Nome

«Il tempo dell'ermeneutica infita è scaduto. [...] Il cristianesimo proclama oggi la sua disponibilità istituzionale per chiunque voglia seriamente porre, in Europa, la questione dell'umanesimo etico come principio di ricommposizione del legame sociale. LA politica ha dismesso l'onere. E il cristianesimo indica il suo fondamento in termini di riconciliazione con la fede cristologica dell'alleanza di Dio, che non fa eccezione di persona. Può farcela? E soprattutto, deve farlo?

Il gesto di Mosè mi sembra un buon simbolo per introdurci allo spirito di questo intreccio di cooperazione e di fermezza. INtendo il gesto, strepitoso e bellissimo, con il quale Mosè fronteggia Dio in favore del popolo, in piena crisi del vitello d'oro».

Sequeri è convinto che la tentazione del potere per la chiesa non sia più attuale. Questo è un vantaggio, perché può così concentrarsi sullobbedienza della fede: «praticarla e insegnarla con lieta franchezza come virtù che salva, incompatibile con ogni forma di assoggettamento ed estranea a ogni atto di costrizione e di forza».

«La potenza di questo nuovo orizzonte - principalemtne seminato nel Figlio crocifisso - non è ancora stata colta dagli stessi credenti, in tutta la sua portata, per la storia universale. Un grandce passo, per la purificazione della coscienza religiosa dell'intera storia dell'uomo, si compie qui, attraverso la purificazione della chiesa».

Per l'Occidente: «la purificazione religiosa della religione e l'umanizzazione etica dell'umano si seminano lungo il medesimo solco. Quando uscirà da questa dura conversione, l'Occidente sarà degno di un nuovo rispetto fra le genti. Avrà qualcosa di nuovo da insegnare. Ma questa volta sarà umile nel farlo. E quindi credibile. La fermezza con la quale il  cristianesimo tiene questa rotta provoca inevitabili risentimenti all'interno della chiesa medesima».  

«Il paradosso è l'oggettiva accessibilità del mistero di Dio in figure del legame sociale [...] Capisci che cosa significa un'istituzione dei rapporti umani che insegna che l'eccesso della grazia è anche la regola d'oro della nostra libertà storica? E che l'eccesso della pro-affezione è la ragione elementare della nostra resistenza umana? Nella generazione, che dà vita e si batte per la sua giustizia, Dio è già di casa. L'umano-che-è-comune, giustificato dalla fede e condiviso nell'agape, ha i numeri per sostenere la speranza.

Certo deve venire l'ora in cui il cristianesimo dovrà completare  - per non perdersi agli occhi di Dio, - il suo riposizionamento epocale nell'orizzonte della prima e della seconda tentazione. La chiesa sarà chiamata a ridisegnare evangelicamente - ed elegantemente - la forma del suo sostentamento nell'orizzonte del capitalismo maturo (e anche un po' marcio) della rendita finanziaria  e della donazione estemporanea. E analogamente dovrà inventarsi una nuova capcità di comunicazione - non meramente spettacolare  e promozionale - che attraversi lo spessore della bolla mediatica scompigliandone la semantica esibizionistica e mercantile. La distanza dalla crescita parassitaria del denaro e dalla regia comunicativa del pensiero unico, del resto, è destinata a diventare un test di credibilità infallibile per l'umanesimo etico che riscatterà le generazioni dal nichilismo. I processi sono in accelerazione: il tempo si è fatto breve, e questo compimento verrà (con il suo giusto carico di dura purificazione e di leta vittoria sulla paura). I fondamentali di questa nuova signoria della libertà sono evangelicamente iscritti nella costituzione e nel magistero essenziale della chiesa. Dovunqnue vada, la seguiono: la giudicano, la purificano e ci raggiungono come una benedizione che si conserva intatta».

«Chiedete ai giovani stessi di promuovere questa imponente alleanza contro l'eresia postmoderna dell'autoaffezione. Insegnate loro a sfidarla con la sontuosa creatività culturale della pro-afezione per l'umano che rilancia la storia: generatività, lavoro, pensiero. Saranno tutti, subito, meno depressi e più felici. I loro genitori aaranno meno isterici e più rilassati. Farà bene anche a nnoi. E voglio proprio vedere chi rema contro, questa volta».