In questa sezione vi propongo di riflettere sul mistero di Gesù vero uomo e vero Dio a partire dalla confessione di fede del Concilio di Calcedonia:

Noi insegniamo a confessare [...] che si deve riconoscere l’unico e medesimo Cristo unigenito Figlio e Signore sussistente nelle due nature in modo inconfuso, immutabile, indiviso, inseparabile, non essendo in alcun modo soppressa la differenza delle nature a causa dell’unione, anzi rimanendo salvaguardata la proprietà  dell’una e dell’altra natura» (Concilio di Calcedonia)[1]

Ho pensato che Gesù, in quanto uomo, si è formato leggendo le Sacre Scritture di Israele (per i cattolici una buona parte dell’Antico Testamento; il Nuovo Testamento non era stato ancora scritto, ovviamente) e che questo gli sia stato sufficiente, assieme alla assidua preghiera con il Padre e guidato dallo Spirito, per avere una giusta e sufficiente sicurezza sulla propria identità relazionale e sulla propria missione, che ha sempre più approfondito fino a comprendere il Mistero Pasquale – di passione, morte e resurrezione –, che lo riguardava.

Cosa vuol dire che le due nature, quella divina e quella umana, sono salvaguardate nelle loro proprietà nell’unione in Gesù Cristo?

La natura divina di Gesù è di tipo relazionale in quanto Dio è uno e trino. Come dice san Tommaso «La persona dunque, in qualsiasi natura, significa ciò che è distinto in quella natura: come nella natura umana  significa questa carne, queste ossa, questa anima, che sono i princìpi individuanti l’uomo; le quali cose, pur non facendo parte del significato di persona, tuttavia fanno parte di quello di persona umana. Ora, come si è detto [q. 28, a. 3], la distinzione in Dio non avviene se non per le relazioni di origine. E tali relazioni in Dio non sono come accidenti inerenti al soggetto, ma sono la stessa essenza divina: perciò esse sono sussistenti come sussiste l’essenza divina. Come dunque la divinità è Dio, così la paternità divina è Dio Padre, il quale è una persona divina. Perciò la persona divina significa la relazione come sussistente. E ciò equivale a significare la relazione a modo di sostanza, cioè di ipostasi sussistente nella natura divina; benché ciò che sussiste nella natura divina non sia altro che la stessa natura divina. Stando dunque a queste premesse è vero che il nome persona significa direttamente la relazione e solo indirettamente l’essenza: non però la relazione in quanto relazione, ma in quanto significata come ipostasi. — Parimenti significa pure direttamente l’essenza e indirettamente la relazione: in quanto l’essenza si identifica con l’ipostasi; ma l’ipostasi in Dio viene significata come distinta da una relazione, e quindi la relazione nel suo significato di relazione rientra nel concetto di persona indirettamente [in caso obliquo]» (ST I q. 39 a. 4, traduzione a cura del Centro Editoriale Domenicano). La dimensione relazionale fa dunque parte della realtà divina.

La natura umana di Gesù è anch'essa di tipo relazionale. Come ho mostrato nel libro "Gesù visto e toccato" (pp. 23-35) l'uomo è relazione sia perché nasce in una relazione, sia perché non esiste mai isolato da un altro essere umano. Inoltre le relazioni che necessariamente vive fin dalla gestazione sono quelle che lo costituiscono nella sua identità personale.
Dunque si può concludere che sia la natura divina che quella umana di Gesù sono relazionali.
Questo ci può aiutare a comprendere meglio le proprietà della natura divina e della natura umana.
La principale proprietà della natura umana è quella di essere creatura, mentre quella della natura divina è quella di essere amore che, in quanto tale, genera alla vita, cioè la crea. In termini più filosofici si può dire che la creatura non è signore della propria origine, mentre Dio è Signore di sè stesso non avendo né origine né inizio.  
Un'altra proprietà differente è quella della finitudine nella natura umana e quella della pienezza nella natura divina.
Ora come possono unirsi in Gesù queste differenti proprietà, che alla nostra ragione finita, sembrano contraddittorie? Solo se pensiamo che il destino dell'uomo è quello della sua divinizzazione, come hanno pensato e proposto alcuni padri della chiesa, possiamo avvicinarci a una maggiore comprensione di questo mistero, pur rimanendo ancora molto da comprendere.

[1] P. Hünermann (ed.), H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum. Definitionum et declarationum fidei et morum, Edizione bilingue, EDB, Bologna 1995, 300-303, pp. 166-171.