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Se si scorre l'indice (leggi indice) di questo libro, si rimane affascinati di come in relativamente poche, ma significative pagine, viene tratteggiata la storia d'Italia dal processo che ha portato all'unità fino ad oggi.

Manlio Graziano, di cui ho già commentato l'articolo pubblicato su Limes del maggio 2011 (L'Italia dopo l'Italia, nella sezione "Gli Italiani"), è un amante dell'Italia, pur vivendo a Parigi dove insegna. Si capisce che ama l'Italia da come ne parla. Lo stile è sobrio e per niente moralistico, e questo è già un vantaggio per comprendere meglio ciò che dice.

Riassumendo all'osso, e con tutte le precauzioni del caso, ho ricavato la sensazione che la storia d'Italia, pur nella diversità dei periodi  storici e delle contingenze nazionali e internazionali, è una storia di trasformismo.

«Non sempre si è fatta la debita distinzione tra "trasformismo" inteso come termine politico e il trasformismo scenico reso noto da Leopoldo Fregoli, attore celebre a cavallo tra ottocento e Novecento per la sua abilità nel cambiare in pochi secondi la caratterizzazione del proprio personaggio. Nella prima accezione esso non designa semplicemente un cambiamento di uomini alla testa dello Stato o la trasmigrazione da uno schieramento politico ad un altro, queste non sono che le manifestazioni superficiali di un fenomeno molto più complesso, la cui natura è strettamente  legata alla debolezza e alla ristrettezza della classe dirigente italiana. Prova ne sia che, nelle altre lingue, il termine ha un significato esclusivamente biologico, relativo alla teoria dell'evoluzione.

Lo storico americano Raymond Grew ha fatto giustamente notare che alcuni dei caratteri che sono abitualmente messi sul conto del trasformismo non appartengono solo alla tradizione italiana; ciò che distingue quest'ultima, scrive Grew, è il caarattere quasi istituzionale del trasformismo, che impedisce che i problemi locali specifici siano messi in relazione con interessi più generali, scoraggiando così l'esistenza di partiti politici nazionali.

Per Gramsci, "tutta la vita statale italiana dal 1848 in poi è caratterizzata dal trasformismo"; egli spiega il fenomeno come un processo di "elaborazione di una sempre più larga classe dirigente (...) con l'assorbimento graduale ma continuo (...) degli elementi attivi sorti dai gruppi alleati e anche da quelli avversari". Questa analisi è stata confermata più recentemente da tutti coloro i quali hanno messo il trasformismo inn relazione con l'esiguità delle basi sociali del potere e con la difficoltà ad allargarle: la cooptazione di nuove élites e di nuovi gruppi di interesse sarebbe dunque stato il solo modo attraverso il quale le classi dirigenti italiane hanno saputo rinnovarsi» (p. 129-30).

«Secondo Grew, il trasformismo è un fattore di stabilità e di continuità, nella misura in cui riesce ad evitare che una classe di governo sia rimpiazzata da un'altra "in senso rivoluzionario" (...) il trasformismo è stato il metodo utilizzato lungo tutta la storia italiana per tentare di "dominare" non le grandi rivoluzioni, che non ci sono state, ma le contraddizioni politiche, economiche e sociali del paese» (130-1).

«Secondo Roberto Cartocci, la caratteristica del trasformismo consiste nella distribuzione diretta di benefici clinetelari attraverso la spesa pubblica e, nella ratifica, grazie all'implicazione sistematica dell'opposizione, di disposizione volte ad alimentare i circuiti delle clientele» (133).

Graziano tratteggia in un breve paragrafo (133-5) le continuaità del trasformismo, sottolienandone la ricorrenza in varie epoche storiche, facendo notare nel paragrafo successivo (135-9) le rotture: «Nel caso dell'Italia di fine Ottocento come in quella di fine Novecento, fu la brusca necessità di sottomettersi alle leggi del mercato mondiale a provocare la rottura trasformista. (...) La frammentazione si rivela letale nel momento in cui il patto implicito che lega la classe dirigente ai suoi clienti si scioglie: se da una parte il negoziato tra interessi disparati permette di risolvere tecnicamente e temporaneamente il problema della formazione di un maggioranza, d'altra parte esso alimenta però una conflittualità permanente che esplode ogni qualvolta, per una ragione o per l'altra, il negoziato si interrompe».

E mi pare che questa riflessione ben si attagli alla situazione attuale (oggi, 18 luglio 2011), quando una finanziaria quadriennale non è stata sufficiente a rassicurare i mercati e soprattutto i fondi speculativi (hedge found) che non aspettanon altro che situazioni analoghe per cavalcarle. Se con Amato nel 1992 e poi con Prodi si scelse di entrare nell'euro come vincolo virtuoso per  i conti pubblici, con Berlusconi e Tremonti questo non si è avuto. Infatti prima la finanza creativa di Tremonti e poi la scelta di non curare le misure per la crescita del paese, ci stanno portando sull'orlo del baratro.

Un'altra questione che Graziano sottolinea è che solo Cavour ha avuto  l'accortezza di far fruttare, anche in maniera piuttosto spregiudicata, i vincoli internazionali a nostro favore.

Per me, oggi non c'è nessun paese europeo o meno che abbia interesse a salvaguardare uno stato come il nostro che vale per meno del 3% nel commercio mondiale e che può essere più o meno facilmente sostituito, come lo stessso ad Marchione della FIAT, uomo che ragiona per cultura in termini internazionali, mostra chiaramente di voler fare.