Economia

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Nicholas Shaxson, Le isole del tesoro. Viaggio nei paradisi fiscali dove è nascosto il tesoro della globalizzazione, Feltrinelli, Milano 2012 (or. ing. 2011), pp. 350, euro 19,00.

 

Indice 

Prologo. Come il colonialismo è uscito dalla porta ed è
rientrato dalla finestra
1. Benvenuti da nessuna parte. Introduzione al sistema offshore
2. Tecnicamente all'estero. Tassare i fratelli Vestey: come spremere un budino di riso
3. Lo scudo redditizio della neutralità. La Svizzera, antica giurisdizione segreta d'Europa
4. L'opposto dell'offshore. John Maynard Keynes e la lotta contro il capitale finanziario
5. Il "Bigger Bang" dell'eurodollaro. I mercati dell'eurodollaro, le banche e la grande fuga
6. La tessitura della ragnatela. Come la Gran Bretagna ha costruito un nuovo impero all'estero
7. La caduta dell'America. Come gli Stati Uniti hanno im﷓
parato a infischiarsene e ad amare l'attività offshore
8. Il grande salasso dei paesi in via di sviluppo. Come i
paradisi fiscali danneggiano i paesi poveri
9. Deregolamentazione. Le radici della crisi
10. Resistenza. In lotta contro i guerrieri ideologici dell'offshore
11. La vita offshore. Il fattore umano
12. Griffin. La City of London Corporation
Conclusione. Riprendiamoci la nostra cultura

 

Invito alla lettura 1 (capp. 10 -11) e 2 (capp. 12-Conclusione)

E' un libro che mi ha fatto incazzare per la presa in giro che subiamo quotidianamente per 12 capitoli e mi ha offerto qualche piccola speranza nelle conclusioni.

Combattiamo per il tenere il deficit sotto il 3% quando basterebbe che i ricchi in Italia pagassero le tasse e non fossero difesi da una legislazione compiacente, per avere i soldi necessari a costruire scuole sane per i ragazzi, una sanità che funzioni meglio, che copra le spese mediche, una polizia che ha i mezzi per difenderci e così via su tutto il resto.

Il libro è una cavalcata in ciò di cui non si deve parlare per non disturbare il manovratore, ma che è bene invece conoscere per sapere chi veramente ha guadagnato in questi ultimi 30 anni, in cui le disuglianze di reddito sono aumentate in tutti i paesi, e in particolare in Italia.

Paradiso fiscale sappiamo utti cosa significhi, ma in effetti non sappiamo che sono stati voluti dagli occidentali e sono annidati più che nei paesi esotici che conosciamo, in particolare isole-stato, nella City di Londra e nel Delaware, negli USA.

E' un sistema che è nato apposta per non pagare le tasse nei propri paesi , che ha visto la Gran Bretagna risorgere dalle ceneri del suo impero andato in disfacimento dopo la seconda guerra mondiale e che ha trovato il consenso e la non opposiszione della Banca d'inghilterra, anche contro alcuni governi che si sono succeduti, in particolare i governi laburisti, e che avevano l'obbiettivo di ridurre l'autonomia della City di Londra, ma non ci sono riusciti.

La City ha una governance indipendente dallo Stato inglese, con giuridisdizione su 9.000 persone e 23.000 aziende che votano per le proprie autorità. E' un club esclusivo che si fonda su chi esce da Eton e dalle migliori (!) scuole inglesi, si basa su rapporti di fiducia e che, verso chiunque tenta di limitarne autonomia e poteri, usa metodi che in Italia definiremmo mafiosi: dall'intimidazione al ricatto, alla calunnia e alla delegittimazione.

Più è piccolo lo stato che si fa paradiso fiscale, più questi metodi sono usati per ridurre al silenzio chiunque si opponga. In cambio le piccole popolazioni locali ricevono benefici in termini di ricchezza. Questo nel Delaware, nelle isole del Canale, nei Caraibi, a Miami in Florida, ma anche in Svizzera e a Wall Street.

Il sistema oramai è collaudato e si basa su altissime professionalità che chiedono ed ottengono legislazioni favorevoli a nascondere il denaro, a renderlo irintranciabile, non tassabile dai "normali" governi, a sottrarlo al dovere di solidarietà che vincola gli uomini.

Il sistema favorisce pochissimi, anche meno del'1% della popolazione mondiale a scapito del rimanente 99%.

Se avete voglia di leggere qualche pagina dove si riporta l'ideologia di chi difende i paradisi fiscali e la loro utilità per la crescita dell'economia mondiale, vi renderete conto della scarsa o nulla considerazione delle conseguenze sulle altre persone che non facciano parte di questo club degli ultraricchi.

C'è un sistema di complicità in alto e in basso che non sarà affatto facile debellare, se non con una maggiore e capillare informazione su chi sottrae risorse agli Stati nazionali per una anche minimamente equa redistribuzione della ricchezza.

Nessuno fa mai soldi da solo, anzi paga profumatamente collaboratori e consulenti, per poter sottrarre il proprio patrimonio, che considera, come un tempo i nobili, sua esclusiva proprietà su cui nessuno può dire o fare nulla, in particolare lo Stato, che considera un ladro e quindi un nemico a tutti gli effetti.

Pensavamo che fosse passato quel tempo e invece è ritornato con prepotenza.

Anche i governanti del mondo non possono, o meglio, non intendono far nulla. L'intenzione di combattere i paradisi fiscali durante il G20 svoltosi nel momento peggiore della crisi, non ha sortito alcun effetto pratico, se non quello di legalizzare di fatto i paradisi fiscali, mettendoli nella lista bianca con un sotterfugio legale. Una ulteriore presa in giro.

Solo un serio e deciso movimento di mobilitazione dal basso a livello mondiale potrà fare qualcosa per ridurre un poco questa situazione di profonda disuguaglianza e ingiustizia.

Fino a quando si penserà che è giusto non far sapere l'ammontare del proprio patrimonio - non dico all'opinione pubblica -, ma almeno ai governi legittimi, fino a quando si pensa che la proprietà privata non debba avere alcun limite, ma sia un diritto assoluto, fino a quando le legislazioni permettono di non conoscere chi siede nei consigli d'amministrazione delle aziende e chi è veramente il proprietario di esse, fino a a quando si ritiene che il segreto bancario sia un bene per la collettività e non invece per pochi privilgiati che se lo possono comprare,  fino a quando non ci sarà la tracciabilità dei soldi, che permette ad evasori e criminali a sottrarsi a qualunque controllo, allora non si potrà fare nulla contro la grande evasione fiscale che coinvolge le grandi multinazionali e i veri ultraricchi.

In fondo è solo una questione di legislazione per rendere più vivibile il nostro mondo e le relazioni tra le persone e la legislazione dipende da noi tutti, governanti e governati.

 

 

Perché le nazioni falliscono

 

 

Daron Acemoglu, James A. Robinson, Perché le nazioni falliscono. Alle origini di potenza, prosperità e povertà, Il Saggiatore, Milano 2013, pp. 527 + 26 foto, euro 22,00

 Daron Acemoglu è professore di Economia al MIT di Boston. NEl 2005 ha ricevuto la John Bates Clark Medal, il più importante riconoscimento riservato agli economisti under 40.

James A. Robinson, scienziato politico a Harvard, ha insegnatoi per molti anni alla Universidad de los Andes di Bogotà, ed è uno dei più quotati studiosi delle istituzioni africane e latinoamericane.

 

Il libro è un best seller dei nostri tempi, perché ci fa capire come le nazioni possono prosperare o fallire. Prima di tutto è un'analisi storica delle istituzioni politiche ed economiche di molte nazioni in tutto il mondo, non solo Occidentale e va alla radice distinguendo le istituzioni poltiche ed economiche in due tipi: inclusive od estrattive.

Quelle estrattive difendono i privilegi di una elite molto ristretta e impediscono l'accesso alle risorse di una nazione alla maggior parte della popolazione.

Quelle inclusive sono diffusive del potere, proteggono i diritti di proprietà, permettono la distruzione creatrice capitalistica e quindi l'innovazione e il possibile ricambio delle elites politiche ed eocnomiche.

A modello delle seconde gli autori prendono l'Inghilterra e il suo percorso dal 1688 ad oggi, Gli Statti Uniti d'America, e con ritardi vari: l'Australia, l'Europa Occidentale e pochi altri stati.

La teoria proposta è interessante perché tiene conto che alla base dei diversi percorsi delle nazioni ci sono contingenze storiche che possono essere sfruttate o in un senso o in un altro, che nulla è determinato dalla storia, che l'inerzia delle istituzioni e delle classi dominanti è potente e che lo sviluppo storiche è un mix di scelte e di contingenze casuali. In questo senso gli autori sono consapevoli che è difficile che la teroia possa predire come sviluppare uno stato in un senso estrettivo o inclusivo, tuttavia ci sono degli indicatori che mostrano delle possibili vie di sviluppo inclusivo, anche se non di facile attualizzazione (vedi cap. 15)

Gli autori non si rendono conto, nel senso che non lo teorizzanno coscientemente, che c'è anche un altro fattore: quello di persone che scelgono deliberatamente di promuovere istituzioni inclusive od estrattive. Gli esempi nel libro sono innumerevoli, ma gli autori si limitano ad una analisi delle istituzioni. Come però ci ha insegnato Ricoeur: «Chiamiamo "prospettiva etica" la prospettiva della "vita buona" con e per l'altro all'interno di istituzioni giuste» (Sé come un altro, JAca Book, Milano 1993, 266), occorre quindi considerare anche il singolo individuo che sceglie la vita buona, e non solo che le istituzioni siano giuste, che i nostri autori qualificano come inclusive.

Qui potete scaricare in files PDF l'indice e il capitolo 15, quello conclusivo che riassume e riapre il ragionamento dei due autori.

 

 

 

 

 

Mauro Magatti, La grande contrazione. I fallimenti della libertà e le vie del suo riscatto, Feltrinelli, maggio 2012, 25 euro, 333 pagine.

 

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Mauro Magatti, preside della Facoltà di Sociologia dell'Università Cattolica di Milano, racconta con fare tranquillo, ma che interroga la coscienza, cosa è accaduto in questa crisi che stiamo vivendo, crisi spirituale prima che economica, cioè crisi della libertà. La crisi, per Magatti sociologo, è però un'opportunità per raccogliere quanto di buono abbiamo vissuto nella fase precedente di espanzione, spirituale prima che economica, e provare a mutare l'orizzonte di fondo in cui viviamo, cambiare paradigma di riferimento per poter sfruttare tutte le potenzialità di questa nuova stagione, con atteggiamenti meno adolescenti e più adulti, con maggiore libertà e capacità di senso.

Indice (clicca qui)

 

Il libro si divide in tre parti:

a) l'analisi: i primi due capitoli ripercorrono la genesi della crisi attuale, riprendendo qunanto già scritto nel libro "Libertà immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichiista" (Feltrinelli 2009);

b) le possibili derive: il terzo capitolo disegna tre scenari futuri in cui il capitalismo tecno-nichilista può scivolare con gravi conseguenzwe per tutti;

c) le opportunità da coltivare: nei capitoli quarto e quinto Magatti offre al lettore le coordinate per un nuovo pensiero della libertà e illustra alcuni movimenti sociali che ne portano avanti le istanze.

 

Leggi tutto: La grande contrazione - Mauro Magatti

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Plutocrazia: i ricchi governano.

Plutonomia: i ricchi fanno le leggi (a loro favore).

Federico Rampini, inviato di La Repubblica a New York, ha scritto il 2 aprile 2012 un articolo sul rischio negli USA di una plutonomia nel paese più potente del mondo.

«Dal 1978 ad oggi l'1 per cento degli americani più ricchi hanno visto i loro redditi aumentare del 256 per cento mentre il potere d'acquisto della famiglia media americana è rimasto stagnante».

I 300.000 americani più ricchi, lo 0,1 per cento, sono al 60 per cento (cioè 180.000) top manager, in larga parte banchieri.

Poco oltre Rampini ricorda come una recente sentenza della Corte Costituzionale, approvata dalla maggioranza di destra della medesima Corte, ha esteso "la libertà di espressione" in quanto diritto delle persone fisiche anche alle grandi aziende multinazionali. Esse si sono subito organizzate, già nelle elezioni di metà mandato del novembre 2010, mmoltiplicando per 5 le loro spese in pubblicità a sostegno di questo o quel candidato.

Questo ha costretto Obama a rivolgersi a chiedere sostegno finanziario a dei banchieri, assicurando che in caso di rielezione non terrà un atteggiamento punitivo nei confornti di Wall Street.

L'indice di Gini, creato da un economista italiano, misura la disuguaglianza di reddito su una popolazione data. Esso assume un valore tra 0 (tutti hanno lo stesso reddito) e 1 (uno solo ha tutto il reddito e tutti gli altri nessun reddito).

Gli USA sono passati da 0,394 del 1970 al 0,469 del 2005. Nel 2005 l'indice di Gini è stato calcolato per 133 paesi. Il più basso era della Svezia (0,23); il più alto della Namibia (0,707). L'Italia si collocava al 37 posto con 0,33. Nel 2008 era salito a 0,36 per il nostro paese.

Nel 2006 Warren Buffett ha dichiarato: «Certo che c'è la lotta di classe, ma è la nostra classe, quella dei ricchi, che la sta vincendo». Nell'agosto 2011 ha scritto ad Obama, presidente degli USA per poter pagare più tasse sui suoi redditi. E' uno tra i dieci uomini più ricchi del mondo. E anche lui vuole fare delle leggi, ma "buone"!

In Italia tutto questo è già successo con Berlusconi e le leggi ad personam!

 

 

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Il recente libro di Roberto Mancini, filosofo dell'Università di Macerata, impegnato su vari fronti sia della riflessione che dell'impegno civile, ha come sottotitolo:

 

Meditazioni sulla società che credeva d'essere un mercato

 

Pubblicato nella collana: Il cortile dei gentili, delle edizioni del Messaggero di Padova nel maggio 2011, il libro si presenta come una riflessione impegnativa e serrata, a partire dalla crisi economica che stiamo vivendo, sulla questione del dono che tanto impegna la filosofia attuale. Ma in breve la riflessione di Mancini gira e si ferma sulla capacità dell'uomo moderno di provare compassione e superare l'indifferenza che nasce e si diffonde quando si pensa alla società come un mercato e non come un insieme di persone che vivono la medesima storia.

L'analisi è impietosa e tagliente, tuttavia piena di amore per quanto sta accadendo e soprattutto per le persone che ne subiscono maggiormente le conseguenze. Il prof. Mancini di fatto è un profeta, perché chiede una conversione di pensiero e di azione a chiunque sia interessato a un futuro migliore di quello che stiamo vivendo.

Il suo invito è il seguente:

La patologia che ritengo particolarmente pericolosa nelle dinamiche della mentalità oggi prevalente consiste nella credenza di massa per cui si prende per vero che la società sia un mercato globale e insuperabile, le cui ferree regole non ammettono deroghe per nessuno. In realtà la società ospita e conosce il mercato, ma non è affatto un mercato.

Leggi tutto: La logica del dono - Mancini

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Questo libro è  scritto a due mani da una donna e un uomo, lei professoressa di Economia e direttrice del Center for Iternational Economics all'Univertà del Mryland collabora con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, lui professore di Economia a Harvard collabora cojn il Wall Street Journal il Financial Times. Racconta otto secoli di disfatte economiche, elaborando statistiche molto precise su come sono adnate le cose nelle crisi che hanno preceduto la presente, che hanno chiamato la SECONDA GRANDE CONTRAZIONE. E' oramai diventato un classico perché mette a disposizione ciò che non si vuole sapere e toglie le foglie di fico delle grandi banche, soprattutto americane, che hanno socializzatio le perdite e privatizzato i profitti. E' accaduto perché qualcuno pensa che non possiamo fare a meno delle banche, ma questo non è vero. Possiamo fare a meno di queste banche per ritorvarcene altre che facciano meglio gliinteressi sociali oltre che i loro profitti.

Il titolo è molto accattivante perché fa pensare alla proclamata diversità di questa crisi rispetto alle altre, ma la tesi di fondo del libro è esattamente CONTRARIA: questa volta non è diverso dalle altre e, con un poco di buona volontà, lo si sapeva o lo si sarebbe dovuto sapere. E' stato un eccesso di fiducia nelle innovazioni finanziarie che ha perpetrato il solito inganno: i debiti prima o poi qualcuno li deve pagare. Essi stanno in piedi finché c'è FIDUCIA che vengano ripagati, ma quando la fiducia - che è materia molto delicata, in quanto concerne la credibilità e la verità di una parola data e di atteggiamenti annunciati come realizzabili da parte di qualcuno - viene meno, la richiesta di rientrare dai debiti si fa pressante fino all'asfissia del debitore. Questo fa perdere il debito e con esso il capitale, ma il debitore viene invitato in maniera rude a non provarci mai più.

Purtroppo molti stati nazionali hanno subito delle crisi totali o parziali del debito nazionale o delle proprie banche, ma questo non impedisce ad altri - o agli stessi - di riprovarci con noncuranza delle conseguenze. Purtroppo le statistiche dicono che in media una crisi come questa dura circa sette anni. Sono appena tre che la crisi è scoppiata e dunque ci aspettano in media altri 3-4 ANNI prima di pensare di esserne fuori, ma forse non andrà così male, ma potrebbe andare anche peggio, dipende da tutti, prima di tutto dai politici edalle loro decisioni, ma anche da noi cittadini. Per ora in America sta montando una protesta da non prendere troppo sotto gamba (sito ufficiale della protesta http://occupywallst.org/).

Da noi non succede ancora niente, nonostante la rabbia che sento tra la gente che conosco (classe media) stia crescendo di giorno in giorno, ma non trova un luogo di riconoscimento e di coagulo.

Potete trovare qui l'indice (leggi qui) e la prefazione (leggi qui).

Riassummo invece brevemente le considerazioni dei capitoli finali, dopo aver riportato una frase dell'Introduzione:

«Il fattore chiave - più importante di qualsiasi altro - che dà origine alla sindrome del "questa volta è diverso" è probabilmente il mancato riconoscimento della precarietà e della natura incostante della fiducia, specialmente nei casi in cui debbano esser econtiunamente rinnovati debiti a breve termine per importi considerevoli. [...] La teoria economica insegna che è proprio l'intrinseca natura incostante della fiducia, anche perché dipendente dalle aspettative del pubblico in ordine a eventi futuri, che rende così difficile prevedere le tempistiche delle crisi del debito. Alti livelli di indebitamento conducono, in molti modelli economoetrici, a "equilibri multipli" in cui il livello del debito può essere sostenibile o no. Gli economisti non hanno un'idea molto chiara in merito a quali tipi di evento influiscano sulla fiducia e su come valutarne concretamente la vulnerabilità. Dalla storia delle crisi finanziarie emerge però con chiarezza, innumerevoli volte, che quando vi sono le condizioni affinché si verifichi un incidente, alla fine inevitabilmente accade».

Leggi tutto: Reinhart - Rogoff "Questa volta è diverso"

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